Mario Appiani-Roberto Morrocchi, Siena tra pietre e nuvole

Il titolo del libro di Mario Appiani e Roberto Morrocchi, prefato da Vincenzo Coli ed edito da nuova immagine, è esso stesso una fotografia, una bellissima fotografia. Siena, infatti, a me che vengo da Firenze, è sempre parsa una città “tra pietre e nuvole”. Le pietre che risuonano sotto i piedi, mentre si percorre un vicolo o una strada stretta, o quelle che la mano incontra sfiorando un palazzo del centro.

Le nuvole che riempiono gli occhi quando si solleva lo sguardo da terra, lo si posa su un davanzale, su una grondaia, risalendo poi fino ai tetti e ancora più su, dove a un tratto s’incontra il cielo.  La solidità e la leggerezza. Il tempo del lavoro e il tempo della Festa. Sì, Siena è veramente una città tra pietre e nuvole. E ora Mario Appiani, con le sue fotografie in bianco e nero realizzate negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, e Roberto Morrocchi, coi suoi testi, sempre limpidi e puntuali nelle informazioni che contengono (sia quelle di natura storica, sia quelle di natura artistica), restituiscono al lettore l’immagine della città della prima metà del secolo scorso. Il risultato finale, pregevolissimo, è una porta schiusa sulla dolcezza e schiusa sulla malinconia. La dolcezza generata dalla percezione che qualcosa resta, nell’incessante vanire e svanire di cose e di persone, se la fonte, la porta, la piazza, i colonnini, la scalinata, la colonna che sostiene la lupa, la loggia, sono sempre gli stessi, sono quelli che già costituirono il paesaggio, fisico non meno che sentimentale, degli uomini e delle donne senesi di inizio Novecento.

La malinconia suscitata dalla consapevolezza che nessuno tra coloro che giocavano nel Campo coperto di neve o si offrivano all’obiettivo presso la Croce del Travaglio o parlavano vicino a un elegante calesse in Piazza Tolomei o raggiungevano a piedi l’Antiporto di Camollia, è più in vita: anche a loro si adattano alla perfezione – anche di loro parlano – i versi di una delle poesie che Umberto Saba volle intitolare e dedicare alla moglie Lina: “queste cose / furono un giorno – ricordi – cui venne, / una a una, una fine”. In questo senso, “Siena tra pietre e nuvole” è, prima di qualunque altra cosa, un libro sull’esistenza umana, il cui senso ultimo, al pari della bellezza elegante della nostra città, a volte ci pare così prossimo da poterlo stringere tra le dita, da abbracciarlo, a volte, invece, ci pare distante e impalpabile. Come le nuvole che noi, distesi sulle pietre del Campo in una mite primavera, vediamo trascorrere rapide nel cielo che ci sovrasta e ci osserva. Il passo che segue costituisce l’incipit del primo dei trentatré testi di Roberto Morrocchi che accompagnano e commentano le fotografie di Mario Appiani.  

         

“Piazza del Campo è – semplicemente – la piazza principale della città, ma anche una delle piazze più belle del mondo. Unica per la sua originalissima forma a conchiglia. Conosciuta da tutti oltre che per la sua eleganza e bellezza architettonica per essere il teatro dove va in scena – il 2 luglio e il 16 agosto – il palio, la corsa di cavali più singolare, affascinante e tumultuosa. Il primo documento che concerne il Campo è datato 11 marzo 1169: il comune acquista per 20 lire il Canopus Sancti Pauli, un terreno che corrispondeva alla parte più alta della piazza attuale, prossimo alla Croce del Travaglio dove si incrociano le più importanti strade della città murata. Obiettivo degli amministratori comunali, avere in tempi relativamente brevi una piazza – un Campus Fori – che diventasse il cuore pulsante della gente senese. Un grande mercato, ma anche luogo di incontro e di riunione. La piazza assunse la sua fisionomia di anfiteatro negli ultimi decenni del 1100 con la realizzazione di un muraglione che separò il campo dalla valle del Montone, formando un argine all’erosione del terreno causa il dilavamento delle acque piovane. Nel 1194 presso tale muro sorsero i fabbricati per gli uffici della Dogana e della Zecca, che costituirono il primo nucleo del Palazzo Pubblico. È al tempo del governo dei dodici che si cercò di fare uno spazio più rappresentativo, creando dodici accessi, poi ridotti agli attuali undici, al Campo. Sarà poi il governo dei Nove – in carica dal 1287 al 1355 – a dare il decisivo impulso alla definizione del Campo. Nel 1297, per esempio, si stabilì che gli edifici che si affacciano sulla piazza dovessero avere finestre a bifore o a trifore. E saranno i Nove a dare la spinta decisiva affinché la città avesse un grandioso Palazzo Pubblico, mettendo mano ad acquisti di fabbricati in cima a Salicotto e Malborghetto. Sarà sempre il governo dei Nove a promuovere la definizione della Piazza, mettendo mano con risolutezza alla costruzione a più riprese, dal 1305 al 1348, del Palazzo Pubblico, nel quale a partire dal 1310 i Nove andranno stabilmente ad abitare”

 

Mario Appiani-Roberto Morrocchi, Siena tra pietre e nuvole, nuova immagine, Siena 2020

 

a cura di Francesco Ricci