Luigi Bicchi, Il gioco del tempo

Luigi Bicchi, Il gioco del tempo, Siena, Betti, 2015

La fortuna commerciale del romanzo noir e del romanzo poliziesco nel corso degli ultimi anni in Italia non si spiega semplicemente con la bravura di chi vi si è dedicato, come Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli. Piuttosto, essa discende da un’evoluzione del genere in questione, che sempre più ha preso il posto di quello che un tempo era il romanzo sociale (Balzac, Tolstoj), per la sua capacità di dar conto dei problemi più scottanti del presente e di ricostruirne con estrema precisione i tratti caratteristici. Non solo, ma dinanzi a una realtà percepita in maniera crescente dall’uomo comune come complessa e insondabile (si pensi, a titolo d’esempio, all’oscillazione dei mercati finanziari), l’indagine felicemente risolta rassicura, conforta, fa credere che non tutto sia destinato a restare un mistero o un segreto.

Ma se guardiamo ai due autori sopra menzionati, Camilleri e Lucarelli, è possibile evidenziare un ulteriore aspetto, stavolta meramente descrittivo, dell’evoluzione del giallo italiano: la presenza di un legame molto stretto tra lo spazio della storia raccontata e la città (la regione) natale o, comunque, d’elezione, dello scrittore, legame che concorre sovente a dotare la pagina di una componente nostalgico-soggettiva. Una conferma, in tal senso, ci è offerta anche da “Il gioco del tempo” di Luigi Bicchi, che vede all’opera per la seconda volta il maresciallo Casati, che il pubblico ha avuto modo di conoscere già col precedente romanzo, uscito nel 2014 e intitolato “Il gioco delle tombe”. La vicenda, infatti, è ambientata a Murlo, dove è stato rubato, dalla chiesa di San Fortunato, un badalone, vale a dire un leggio cinquecentesco, e Siena, quella Siena dove Bicchi è nato e ha trascorso l’infanzia e la primissima adolescenza. Il passo che segue è tratto dal terzo capitolo.

“Casati, giunto all’inizio della corte che annunciava l’ingresso della chiesa, diede ancora due boccate al sigaro, quindi lo schiacciò sotto il piede. Alzando lo sguardo vide alcune donne che chiacchieravano tra di loro con ancora il velo nero un mano. Parlavano, sembrava anche di cose importanti, ma il loro sguardo iniziò lentamente ad indirizzarsi verso il maresciallo. ‘Eccole tutte schierate, e ti pareva! Come c’è qualcosa per l’aria queste lo annusano al volo. C’è da capirle: non è che il paese offra molto ed una bella cicalata tra amiche è sempre, almeno per loro, il massimo del divertimento possibile, magari anche subito dopo Beautiful, così tanto per arrivare alla cena. Animo! Proviamo a pensare, cercando di non dare troppo nell’occhio’.
– Buongiorno signore care, don Omero è in chiesa?
– Sì – gli rispose quella, la più autoritaria, che riconobbe subito per Tina Sguanci, conosciuta meglio come la sora Tina o la Baffona per quei peli strani, che alle volte adornano le labbra delle donne ormai vecchie – contrariamente al solito si è trattenuto ancora a pregare. Forse aspetta proprio lei, mi sa. E’ per la storia del badalone? Lo ritroverete vero? E’ quasi vent’anni che me lo guardo tutti i giorni, ormai ci sono abituata. Se ne metteranno uno nuovo, non sarà più la stessa cosa!
– Vedremo – le rispose un accigliato maresciallo aumentando il passo per entrare.
“Il prete ha già parlato! Non ci mancava che questa!” rifletteva il maresciallo immaginandosi, nei giorni successivi, la curiosità che si sarebbe scatenata. Li vedeva già in fila: il farmacista, il portalettere, il barbiere, Alfredo l’oste, tutti, uno dopo l’altro, ogni giorno lo avrebbero guardato diritto negli occhi dicendo una sola parola, la stessa fino a quando l’inchiesta non fosse stata chiusa: “Allora?”. “Chissà perché don Omero si è messo a raccontare tutto prima che arrivassi io!”.

Luigi Bicchi, Il gioco del tempo, Siena, Betti, 2015

Luigi Bicchi, Il gioco del tempo, Siena, Betti, 2015

 

a cura di Francesco Ricci