Luigi Bicchi, È Natale, maresciallo Casati

Se Murlo è ormai familiare anche a chi, pur abitando a Siena – e dunque ad appena venticinque chilometri di distanza –  non vi si reca però quasi mai, ciò dipende in larga misura dal successo riscosso dai romanzi di Luigi Bicchi. “Il gioco delle tombe”, infatti, “Il gioco del tempo”, “Il gioco dei nomi” hanno tutti come protagonista Giulio Casati, maresciallo della stazione dei carabinieri del piccolo borgo medievale. E ciò vale anche per l’ultimo noir, “È Natale, maresciallo Casati. Una storia di donne”, da pochi giorni in libreria.

Uno strano furto nella villa di un self-made man, Alfonso Guerrieri, (“Troppe coincidenze, non trovi? L’allarme che non suona, l’anta della porta che è lasciata accostata, nessun disordine…) e la scomparsa di una ragazza poco più che ventenne (“Ecco maresciallo – si intromise don Omero –  vuol dirle che è scomparsa Elisabetta, la loro figlia: sono tre giorni che non torna a casa!”) costringono il maresciallo Casati a interrompere i preparativi per le feste natalizie oramai imminenti e a cercare di fare luce sull’accaduto.

Eppure all’ultimo libro di Luigi Bicchi la semplice definizione di genere – è un romanzo giallo – stavolta mi pare andare più stretta del solito. Infatti, accanto all’inchiesta poliziesca largo spazio viene accordato sia alla quotidianità familiare del maresciallo (la sua infanzia, il suo presente accanto a Marisa, che spicca tra le donne richiamate anche nel titolo) sia la rappresentazione, fisica e umana (il coro dei paesani), di Murlo, che a un certo punto sembra assurgere a paradigma, nel bene e nel male, di quanto accade quasi ogni giorno in Italia e che la cronaca giornalistica puntualmente registra. Il passo che segue è tratto dall’incipit de “È Natale, maresciallo Casati”).

“Sì, sta proprio arrivando il Natale. Quest’anno credo di sentirlo più delle altre volte: sarà per quest’aria fredda ma non troppo, questo cielo un po’ grigio con le nuvole stese come un materasso di lana, l’aria quasi ferma. Anche le persone sono diverse dal solito: più calme, più rilassate. Eh sì, sta proprio arrivando il Natale, e con lui l’albero, i regali, i pranzi e le cene, poi… poi diremo: come son passate in fretta queste feste, sembra ieri che si faceva l’albero! Certo ci vuole del coraggio per chiamare così il trabiccolo che ho davanti adesso: tre pezzi di ferro e carta con l’aggiunta di imitazioni degli aghi sui rametti. Questo poi ha anche le luci incorporate! Non ci sono più gli alberi di una volta!”. Così meditava, borbottando tra sé e sé, il maresciallo Casati mentre pescava, da tre diverse scatole poste ai suoi piedi, le sfere colorate da appendere sull’albero, le grandi in basso, le piccole in alto, arrabattandosi per riempire gli spazi vuoti di quei rametti finti. Già, che fine hanno fatto gli alberi di una volta? Quei piccoli abeti tutti diversi uno dall’altro, più o meno fronzuti, venduti assieme al loro vaso tanto per regalarti l’illusione di una vita perenne, per farti pensare che l’anno successivo te li saresti certamente ritrovati pronti per l’uso. Sapevi bene che, passate le feste, per quanti sforzi avessi fatto, tra reinvasi e messe a dimora, l’abete avrebbe prima preso un aspetto un po’ smorto per poi virare sul color marrone topo e terminare con la caduta di un ago dopo l’altro, fino alla completa spoliazione”.

 

Giorgio Bernard, Benedetta e Niccolò, La Vita Felice, Milano 2017

 

a cura di Francesco Ricci