Laura Vigni, Piaceri e affanni di un giovane libertino

Delizioso è un aggettivo che va poco d’accordo col sostantivo fallimento. Un fallimento, infatti, volendo vederlo sotto una luce positiva, può essere utile, istruttivo, formativo; difficilmente, però, è delizioso. Ma se il fallimento in questione viene trasposto – ed è questa l’operazione compiuta da Laura Vigni in “Piaceri e affanni di un giovane libertino” – dal piano dei fatti a quello della scrittura, ecco allora che il fallimento narrato, nulla perdendo dell’amarezza e del disincanto che gli sono connaturati, può diventare delizioso.

Dico questo perché il tema di fondo del libro in questione è proprio un fallimento, un fallimento esistenziale, quello del giovane Anton Mario Bargagli, nato a Siena il 14 giugno 1871. Un tema, questo, che di per sé nulla possiede di eccezionale, anzi, forse neppure costituisce materia sufficiente per scrivere un racconto o un romanzo. Tutte le vite, infatti, come osservava Umberto Saba in una meravigliosa lettera indirizzata a Elsa Morante, sono, in un modo o nell’altro, vite mancate, vite fallite, vite tradite.  Laura Vigni lo sa bene, ed è per questo che sin da subito sceglie di calare la vicenda umana di Anton Mario Bargagli in un contesto storico preciso, che è quello della nobiltà provinciale nella seconda metà del XIX secolo. Così facendo, viene accostando alla fenomenologia di quell’esistenza storica la sua eziologia, vale a dire l’individuazione delle cause che ne hanno determinato il fallimento, le quali affondano le radici proprio in quel “mileu”. Perché se la nobiltà ha prodotto (e ne ha favorito la produzione) una cultura di altissimo livello, raramente è stata in grado di produrre (e di favorirne la produzione) rapporti interpersonali e di classe ispirati al principio della libertà e dell’autodeterminazione: a tal punto anonimo, cogente, impersonale, è il sistema di regole imposte.

Così anche tra Anton e il padre (la madre muore subito dopo il parto) è la distanza fisica ed emotiva, che a volte assume perfino i tratti dell’estraneità, a costituire la nota dominante, la quale genera una profonda sofferenza nel figlio, ma, alla lunga, anche nel genitore. D’altra parte, la cultura libertina, che il giovane fa propria specie nei suoi anni senesi e fiorentini, non può rappresentare per lui né un rimedio né una valida alternativa. Infatti, sia che essa venga intesa nel suo significato originario di scetticismo religioso sia nel suo significato più generico di affermazione della propria libertà individuale contro e nonostante le convenzioni sociali, finisce in ogni caso con l’erodere la dimensione comunitaria dell’esistenza, col raffreddare il calore dei vincoli d’affetto stabili e duraturi, col cancellare il senso di responsabilità per la felicità altrui. Insomma, il desiderio del padre di condizionare e pianificare la vita del figlio e il desiderio di quest’ultimo di ergersi a ipostasi di una libertà che risponde unicamente alle pulsioni acefale del desiderio, alla fine disegnano un identico spazio, troppo simile a un deserto o a un lago ghiacciato perché il lettore lo possa rinvenire attraente.

Non è certo un caso che Laura Vigni con grande finezza sottolinei come solamente a conclusione della propria breve esistenza, ormai minata dalla malattia, il protagonista riesca a comprendere che il significato autentico del legame che vincola gli uomini riposa nel prendersi cura l’uno dell’altro, non nell’intrattenere un rapporto meramente strumentale con le persone, finalizzato al conseguimento del proprio piacere o del proprio utile. Il passo che segue (tratto dal “Prologo”) di questo romanzo “polifonico”, nel quale l’autobiografia di Anton Mario Bargagli è accompagnata (a volte corretta) dal punto di vista di chi lo conobbe (il padre, la nonna paterna, uno zio, una zia, alcuni amici), illustra con grandissima chiarezza la natura e gli scopi di “Piaceri e affanni di un giovane libertino”.       

“Questa è una storia vera, basata su materiali e lettere di un archivio familiare, che verrà raccontata dagli stessi protagonisti. I documenti hanno fornito notizie concrete e materiali utili a stabilire i fatti che segnarono le vite dei vari personaggi, ma grazie alla corrispondenza personale è stato possibile entrare nel territorio sfumato delle loro emozioni private e cogliere sentimenti che sfuggirebbero ai dati quantitativi. Cercando di evitare l’illustrazione di una soggettività frantumata e irrilevante, si intende entrare nel merito dei sentimenti privati significativi, quelli più profondi, che fanno riferimento al sistema di valori, allo stile di vita e alle pratiche sociali di un preciso gruppo, il ‘mileu’ aristocratico provinciale. L’intento è di restituire nella sua complessità un mondo che nella seconda metà dell’Ottocento appariva per tanti versi ancora legato al passato preunitario ed all’‘ancien régime’, ma pronto (o rassegnato) ad adeguarsi alle conseguenze dell’unificazione nazionale e alla transizione verso l’età liberale; un mondo ancora scarsamente consapevole di doversi misurare con nuove sfide economiche, appena preoccupato che le rendite garantite dagli antichi patrimoni potessero ancora consentire uno stile di vita dispendioso, tuttavia incapace di resistere alle tentazioni crescenti della ‘belle époque’”

 

Laura Vigni, Piaceri e affanni di un giovane libertino