Intervista a Francesco Ricci, autore di “Elsa. Le prigioni delle donne”

Il direttore di Siena News, Katiuscia Vaselli, intervista Francesco Ricci, autore di “Elsa. Le prigioni delle donne

(nuova immagine editrice, Siena 2019, pp. 104, euro 12)

“Arriva in libreria il nuovo libro di Francesco Ricci ‘Elsa. Le prigioni delle donne’ (nuova immagine editrice). Che libro è? A chi parla?”

“Il romanzo è il consuntivo (da me immaginato) che la grande scrittrice romana fa, sotto forma di monologo, dei suoi primi cinquantaquattro anni di vita, mentre siede sulla poltrona di midollino del suo piccolo studio di via dell’Oca 27. L’ambivalente rapporto con la madre e quello con i due padri – quello biologico, Francesco Lo Monaco, quello anagrafico, Augusto Morante –, la precoce passione per la letteratura e la scrittura, gli amori (Alberto Moravia, Luchino Visconti, Bill Morrow), gli amici (Renata Debenedetti, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini, Carlo Cecchi), i riconoscimenti della critica (il premio Viareggio nel 1948, il premio Strega nel 1957), l’orrore della vecchiaia: sono frammenti memoriali che poco alla volta emergono dal profondo e che, emergendo, disegnano il percorso di un’esistenza intensa e dolente. Ma se gli episodi vissuti appartengono unicamente alla Morante, molti dei sentimenti da lei provati e molte delle considerazioni da lei fatte, ci parlano dell’interiorità di ogni donna, specie nel suo relazionarsi con l’universo maschile. Sotto questo aspetto, il libro parla prima di tutto alle donne di una donna, Elsa appunto”

“Non è la prima volta che lei, professore, si avventura nel racconto umano e viscerale di alcuni dei protagonisti della letteratura. Penso al suo ritratto di Pier Paolo Pasolini, in “Pier Paolo, un figlio, un fratello” (nuova immagine), che è un racconto in prima persona, che cattura fino in fondo l’attenzione del lettore. Penso al bellissimo saggio “Tre donne” (nuova immagine), dove lei indaga l’interiorità di Anna Achmatova, Antonia Pozzi, Alda Merini. Cosa la conduce ogni volta a spingersi nello studio dell’animo umano, che trasforma la sofferenza del vivere in testi che fanno la storia, la storia letteraria?”

“Come lettore, sono sempre stato interessato esclusivamente ai romanzi, ai racconti, ai saggi, che contribuiscono a migliorare la nostra conoscenza dell’umano: Dante, Shakespeare, Dostoevskij, sanno insegnarci intorno all’uomo, alla condizione dell’uomo, alla dimensione intima dell’uomo, lo stesso che possono insegnarci gli psicologi del profondo. Insomma, quando leggo, un libro pretendo che questo, partendo dalla vita di chi scrive, finisca col parlare alla vita di chi ne sfoglia le pagine. La letteratura come gioco fine a se stesso, come oggetto linguistico chiuso, programmaticamente priva di rapporti col resto del mondo e perciò autoreferenziale, non mi interessa, non mi è mai interessata. Di conseguenza, anche come scrittore cerco di mantenere un ancoraggio molto forte alla verità, alla verità della Storia e alla verità dei sentimenti. Ad esempio, in “Elsa. Le prigioni delle donne”, mi sono preoccupato di ricostruire, attraverso un’attenta opera di documentazione, sia l’ambiente artistico romano nel periodo compreso, grosso modo, tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta, sia gli stati d’animo, le passioni, le inquietudini della scrittrice e di chi la conobbe bene. Alla fine, è una ricca galleria di grandi figure della scena culturale italiana a sfilare davanti agli occhi del lettore, da Moravia a Pavese, da Wilcock a Giacomo Debenedetti, Da Garboli a Enzo Siciliano”.

“Non solo protagonisti della letteratura ma, complice il lavoro di docente al Liceo classico di Siena, l’analisi dei giovani attraverso opere approfondite e dirette, dal taglio divulgativo e dal linguaggio schietto, come “La bella giovinezza. Sillabari per millennials” (Primamedia editore) e il sequel “Prossimi e distanti. Gli adolescenti del terzo millennio” (Primamedia), che ha appena ricevuto il premio speciale come miglior saggio al Premio letterario Rive Gauche di Firenze. Quali sono le corde toccate dai suoi libri, intendo dai suoi libri sugli adolescenti, che possono aiutare a spiegarne il successo di vendita e di critica?”

“Probabilmente ha funzionato l’aver fatto confluire in questi due libri un triplice punto di vista: quello dell’insegnante, quello del genitore, quello dello studioso dell’adolescenza. Come della scuola dovrebbe parlarne, per aiutare la comprensione e magari fornire qualche aiuto, chi la scuola la conosce, perché ogni giorno è in classe a contatto con gli studenti e con le disfunzioni del sistema educativo italiano, così anche degli adolescenti dovrebbe scrivere o parlare chi ne ha esperienza diretta. Solamente così è possibile toccare con mano come il mutamento intervenuto nella condizione adolescenziale nei primi anni Novanta – e rafforzatosi con l’inizio del nuovo millennio – è un mutamento che non ammette ripensamenti né interruzioni. Ed è dall’accettazione di questa trasformazione, sia che essa piaccia, sia che essa non piaccia, che occorre ripartire per intervenire su quelle vaste zone di sofferenza e di fragilità dei nostri ragazzi”.