Giacomo Vigni, “Il Conte Giakhy e il pollaio magico”

“Il Conte Giakhy e il pollaio magico” è un libro fondamentalmente “sospeso”. Aggettivo curioso, questo, se riferito a un testo letterario o a un’opera artistica in generale. Eppure, ritengo che esprima bene quella che è la natura del romanzo d’esordio di Giacomo Vigni. La “sospensione” in questione rimanda in primo luogo all’atmosfera che avvolge ogni pagina. La vita e il vissuto del protagonista, infatti, con le sue scorie, i suoi spigoli dolorosi, le sue luci, convivono felicemente con l’aura fiabesca – una sorta di moderno meraviglioso ariostesco – che non solo è possibile cogliere nei capitoli iniziali, dedicati all’infanzia di Giakhy, ma che si stende morbida su ogni parte del testo che veda la presenza di animali (galline, cani, gatti, anatroccoli, pavoni, cavalli).  In secondo luogo, la definizione del “Conte Giakhy e il pollaio magico” come di un libro “sospeso” appare legittima se guardiamo al genere letterario al quale possiamo accostarlo, al quale riconosciamo che appartiene. Ci troviamo al cospetto di un romanzo squisitamente autobiografico. Tutto lo rivela: la bellissima copertina realizzata da Claudia Esposito, le fotografie che corredano il testo, la tripartizione dello stesso fondata sulla scansione temporale (bambino, adolescente, personaggio), la nota introduttiva, il racconto.

Le avventure di Giakhy, però, definiscono nel loro complesso anche un percorso di crescita, che conduce da una visione iniziale ancora ingenua, poiché interamente positiva, dell’esistenza alla consapevolezza della inestirpabile presenza in essa del male, della sofferenza, della delusione. Da questo punto di vista, “Il Conte Giakhy e il pollaio magico” deve essere letto come un romanzo di formazione. Infine, alcuni capitoli (“Spiegazioni importanti”, “Una nuova vita per Clara e Guido”, “Brama una razza tutta da scoprire”, “Le prime nascite”) ineriscono al genere favolistico per la centralità assoluta rivestita dagli animali, rappresentati nel loro agire, sentire, pensare. Da ultimo, “Il Conte Giakhy e il pollaio magico” può essere definito un libro “sospeso” perché l’oscillazione tra il narrare per il semplice gusto di narrare e il narrare allo scopo di educare – “Quando incontrerai qualcuno”, dice nonno Orlando al nipote, “che pensi possa far fatica a vivere una vita bella come la tua, ti dovrai fermare ad ascoltarlo e capirlo cercando di metterti nei suoi panni e se ti sarà possibile dovrai occuparti di lui con maggiore attenzione e amore” – appare un’oscillazione che non si arresta mai, non si ferma, cioè, in corrispondenza di uno dei due estremi indicati. Un’educazione, sia chiaro, basata sull’esperienza, dove i maestri che contano risultano essere gli incontri che a Giakhy capita di fare nel corso degli anni, e che disegnano una ricca costellazione umana, all’interno della quale spiccano le figure della madre, di nonno Orlando, della scrittrice Rossana Guerrieri, di tanti amici e amiche, del compagno Cristian. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale e si segnala per l’impiego di un lessico che vede la calibrata compresenza di realismo e di fiabesco.

“Se solo avesse saputo quanto quel giorno avrebbe influenzato gran parte la vita del nipote… Tutto ebbe inizio in un piccolo paese vicino alla città di Siena, un piccolo gioiello sulle colline dove ancora oggi di può respirare il Medioevo: Vagliagli, una frazione che contava trecentocinquanta anime, dove tutti si conoscevano, dal fabbro al falegname, dal carrozziere (il padre di Giacomo) al meccanico: era come vivere in una grande famiglia dove si sapeva tutto di tutti! È qui che il 12 ottobre del 1974 venne alla luce il piccolo Giacomo o, come lo chiamavano in paese, Giacomino, nomignolo da lui detestato! Più e più volte nel corso degli anni chiederà a sua madre perché, se a ogni bambino viene dato un nome, poi tutti sentono la libertà di cambiarlo?! Questo è soltanto uno dei tanti quesiti che si porrà durante l’arco della vita. Giacomo nasce in una famiglia come tante con discendenza nobiliare, da qui il titolo di Conte! Quando venne alla luce il piccolo Giacomo trovò ad aspettarlo una sorellina di tre anni, Barbara detta Barbarina. Fino ad allora coccolata da tutti, Barbarina non era molto felice di questo fratellino tanto atteso dai familiari, pareva già prevedere l’arrivo di un vero e proprio tornado in famiglia! La madre Leonarda, detta Lea (ancora un nome storpiato), era bella come una principessa delle fiabe: occhi azzurri come il mare nel mese d’agosto, non troppo alta, con un fisico prosperoso da italiana del Sud, una folta chioma spesso molto cotonata come si usava portare negli anni ‘80”.

 

Giacomo Vigni, “Il Conte Giakhy e il pollaio magico”, Albatros, Roma 2023 

 

a cura di Francesco Ricci