Francesco Vannoni, La Commedia Senese

Nel titolo dell’ultimo libro di Francesco Vannoni ciò che veramente conta è l’aggettivo (senese), non il sostantivo (commedia). Non si tratta, infatti, di ri-leggere, ri-scrivere-, ri-pensare il capolavoro dantesco. Piuttosto la “Commedia” per Vannoni è un semplice “pretesto”, che suggerisce un’idea di struttura (tre cantiche di dieci canti), il metro (la terzina incatenata di endecasillabi, maneggiata peraltro con estrema libertà), la felice sintesi di realismo (inteso come attenta adesione alla naturale oggettività delle cose) e di potenza della fantasia. Forse, però, neppure “pretesto” è il termine adatto a definire il rapporto che Vannoni intrattiene col modello. Meglio è, meglio sarebbe, parlare di “gioco”.

Da un lato, infatti, abbiamo il gioco che coinvolge “Vannoni agens”, che attraversa in qualità di personaggio l’oltremondo (sotto la solerte guida, rispettivamente, di Cecco Angiolieri nell’Inferno, di Provenzan Salvani nel Purgatorio, di Santa Caterina nel Paradiso) e incontra figure significative della nostra Storia remota e della nostra Storia recente. Dall’altro, abbiamo il gioco che coinvolge “Vannoni auctor”, il quale come scrittore prova piacere nel muovere i propri passi ora seguendo molto da vicino le orme del poeta fiorentino (come avviene nel canto secondo del “Purgatorio”) ora allontanandosene, facendo scivolare interi blocchi di versi da una cantica all’altra: penso, ad esempio, alla celebre anafora che in Dante apre il terzo canto dell’“Inferno” (“Per me si va ne la città dolente, / per me si va ne l’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente”) e che in Vannoni, invece, viene recuperata e riadattata nell’incipit della cantica del Paradiso (“Per me si va nel perfetto amore. / Per me si va tra la gioia più pura. / Per me si va da Gesù Salvatore”). In un caso come nell’altro, però, sia che l’attenzione del lettore, cioè, si concentri sul personaggio- Vannoni sia che si posi sull’autore-Vannoni, è proprio nel “giocoso” che è dato rinvenire l’autentico tratto qualificante della “Commedia Senese”. Insomma, siamo in presenza di un’opera che, una volta terminata, diverte chi la legge, perché nel suo nascere e nel suo farsi ha divertito quell’abile artigiano della parola che è il nostro autore. Ma anche un libro, “La Commedia Senese”, nella quale, lo ribadisco, a contare è l’aggettivo molto più che non il sostantivo.

Tutto tende, infatti, alla terza cantica, non già, però, nell’ottica di un cammino di salvezza o, che poi è la stessa cosa, dal punto di vista di un percorso morale ed edificante del pellegrino, allegoria dell’umanità intera. Tutto tende alla terza cantica perché è in questa che Siena – il vero oggetto d’amore e d’interesse di Francesco Vannoni – coi suoi colori, le sue contrade, i suoi cavalli, i suoi fantini, i suoi personaggi leggendari, i suoi popoli, arriva a possedere e occupare intera la scena, in una voluta sovrapposizione di piani temporali e di intrecci di generazioni che finiscono col fare apparire immortale sia la nostra meravigliosa città sia la sua Festa. Fantini (Vittorino, Canapetta, Canapino, Rubacuori), mangini vittoriosi (Rodolfo Montigiani, Fabrizio Nello Falorni, Alessandro Traballesi, capitani (Mario Bruttini, Piero Iannone, Fabio Caselli, Fabio Rugani, Vittorio Beneforti, Artemio Franchi, Graziano Bari) alla fine sono mostrati da Vannoni, col consueto garbo e rispetto che lo contraddistinguono, come la semplice parte di un tutto che, a volerlo esprimere in versi, richiederebbe la profondità del cielo, che anche la torre del Mangia non giunge a toccare. Quelle che seguono sono le sette terzine iniziali del primo canto dell’Inferno. Il volume è impreziosito dalla prefazione di Massimo Biliorsi e dalla postfazione di Senio Sensi.          

Comincio ora a racconta’ quel viaggio

che ’n questo periodo tanto duro,

così come sogno oppure miraggio

guasi a cercar un luogo sicuro,

mi nasce nel cuore e nel pensiero

co’ la speranza di miglior futuro.

Lungo sarebbe narrallo intero

che forse neppur tutta la mi’ mente

sarebbe bòna a rendilo vero.

E tra chi legge, qui ci sarà gente

che ben altra impression de la poesia,

potrebbe ave’ di me, personalmente.

Comunando questi versi qual follia:

come a dir che ’n questo momento

vada ormai perdendo la retta via.

Infatti ho sentito lo spavento

che ancora, in verità, ’un passa

di trovammi co’ le forze a stento:

quando, quel che vivi un po’ ti scassa

e ritrovar vigore è fati’oso

pe’ ’l dolor che addosso s’ammassa…

Francesco Vannoni, La Commedia Senese, Betti, Siena 2020

a cura di Francesco Ricci