Francesco Ciai, Una Ragazza in Ballo

“Una Ragazza in Ballo” di Francesco Ciai è un libro che ci viene incontro in modo elegante e discreto. La copertina lucida, l’immagine di una seducente nuca femminile che mani laccate di rosso in parte nascondono, le fotografie dei primi cinque capitoli, che arrestano frammenti di un’infanzia e di un’adolescenza carica di promesse e di sogni, l’infanzia e l’adolescenza di Erica Scoccati. Al contempo le sequenze narrative raccontano la scoperta della propria vocazione interiore – del proprio “daimon” – da parte della protagonista: la passione per la danza.

Erica ne fa sia l’obiettivo da raggiungere sia lo strumento che può donarle la realizzazione di sé e, di conseguenza, la felicità. Il trasferimento da Grosseto a Verona, dopo aver vinto una borsa di studio messa a diposizione dalla prestigiosa Accademia OCDP, l’opportunità di lavorare con maestri bravissimi, la prima esibizione all’Arena, in occasione di un concerto, davanti a dodicimila persone: la voce che imperiosa risuonava nel suo animo (“vocazione”, dal latino “vocare”) Erica ha saputo ascoltarla, accoglierla, seguirla. Poi, però, continuando a sfogliare “Una Ragazza in Ballo”, il lettore si accorge che le impressioni iniziali – d’incanto, di letizia, di soddisfazione – raccontano solamente una parte di verità. C’è dell’altro in quelle pagine, c’è dell’altro nell’esistenza di Erica. A partire dal sesto capitolo, infatti, si è trascinati in un abisso di dolore (fisico) e di sofferenza (spirituale). Spariscono le immagini liete di bambini che festeggiano un compleanno, di amiche che si promettono che non si perderanno mai, di sedute di allenamento, stancanti e inebrianti, di evoluzioni disegnate con grazia nell’aria.

Al loro posto subentrano sguardi vitrei, un corpo spossato e diafano, cartelle cliniche, flebo, una testa attraversata da una profonda e lunga cicatrice, una stanza linda e asettica. Parallelamente, il racconto acquista i tratti di una spaventosa discesa agli Inferi, dove il tempo si arresta, perché il passato non può più essere ricordato – renderebbe ancora più atroce il presente – e dove il futuro è una parola vuota, più vuota delle ore che non paiono più scorrere, bensì sembrano – anche loro – trascinarsi a fatica. “Una Ragazza in Ballo” è una storia vera, la storia di Erica Scoccati, promettente ballerina alla quale, poco più che maggiorenne, è stato diagnosticato un cancro al cervello. Francesco Ciai (Firenze 1987) ha dato forma al suo racconto.

E che questo libro sia un libro che nasce dall’impegno e dalla cooperazione di due persone è un elemento tutt’altro che trascurabile. Se, infatti, nel dolore si è sempre soli (nessuno può sostituirmi, come non può sostituirmi nella morte) – e su questo punto Salvatore Natoli ha scritto pagine bellissime e, a mio avviso, definitive – l’uscita dal dolore, invece, concerne e coinvolge anche l’altro-da-me. Non a caso, in “Ragazza in Ballo” i personaggi sono tanti, ad esempio i genitori, il fidanzato, le amiche, i medici e gli infermieri capaci di empatia, Zia Caterina, Francesco Ciai, che fa di una storia privata una storia pubblica, favorendo così l’instaurarsi di una muta solidarietà tra chi soffre (in questo caso Erica) e chi non soffre (ma che potrebbe soffrire) e mostrando coi fatti che la guarigione da un tumore è possibile. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale. L’immagine del togliersi via le foglie rimaste addosso ai vestiti verrà finemente richiamata nel capitolo dodici, dove, però, a rimanere attaccati alle mani sono i capelli spezzati dopo il ciclo di terapia: la luce e le tenebre.                

“Sono nata di sabato. Dicono che chi vede la luce quel giorno sia governato da Saturno, pianeta che rappresenta la tenacia, la decisione e la tempra. Queste caratteristiche però erano già nei miei genitori, Patrizia e Moreno, che desideravano tanto avere un figlio, ma non ci riuscivano. Presero un gatto, Margot, un bellissimo persiano grigio a pelo lungo, ma non persero le speranze e dopo un po’ arrivai io con i miei occhi blu, piena di vita e di energia. Sì, perché ero molto, molto vivace ed euforica…praticamente non dormivo mai! Lo odiavo, era una perdita di tempo. Oltretutto ho iniziato a camminare molto presto e a scoprire tutto quello che mi circondava. E io, invece di correre, giocare e ridere avrei dovuto mettermi a letto??? Ma dico, siete matti?! Quanto mi piaceva stare all’aria aperta, giocare a pallone con i miei cugini e i miei amici o a “Guardie e Ladri” oppure a nascondino; nelle sere d’estate ci vestivamo dio nero, così da poterci nascondere meglio. Un giorno mia zia mi portò un pacco regalo enorme. Lo scartai in fretta e… non potevo credere ai miei occhi: la vespa elettrica rosa di Barbie, il mio sogno! Volevo provarla subito e così feci. Partii a tutto gas e… mi ritrovai dentro il fossato. Mi rialzai, scrollai via un po’ di terra e foglie che mi erano rimaste attaccate ai vestiti e via, ci risalii subito. L’avevo desiderata per così tanto tempo, niente mi avrebbe fermata!”.

Francesco Ciai, Una Ragazza in Ballo, Arcidosso, Effigi 2019

a cura di Francesco Ricci