Evaristo Seghetta Andreoli, In tono minore

Maria Rosaria Perilli, Viaggio a Firenze di William Shakespeare, Firenze, Nardini 2017

È possibile cogliere alcune delle caratteristiche di fondo dell’ultimo bellissimo libro di Evaristo Seghetta Andreoli – e, più in generale, della sua poesia – già a partire dal titolo, “In tono minore”, e dalle strofe iniziali dei primi due testi della raccolta: “Stentiamo a passare: la folla / avanza nel cuore del sabato sera. / Un giacimento in superficie è la via di vetrine: / non scava nel pensiero, né in fondo all’emozione” (“Sabato sera”); “Sono cadute le foglie: tra i rami / dell’ultima quercia, una finestra / si accende stasera. / Sorprende e conforta sapere / che oltre il giardino, dietro ai vetri, /un lampadario rischiara la vita di un uomo. / L’uno all’altro ignoti, / condividiamo la stessa solitudine” (“Dalla terrazza”). Se Il titolo, infatti, definisce l’atmosfera sentimentale complessiva di “In tono minore”, a determinare la quale concorrono la malinconia, una sottile tristezza, una profonda e umanissima pietas, i versi citati, invece, molto ci dicono intorno allo stile dell’intera opera, la quale rinviene i suoi tratti distintivi: 1) nella funzione marcatamente comunicativa, moderatamente narrativa, dei testi 2) nell’impiego di una sintassi lineare, a volte appena increspata dall’inversione soggetto-predicato verbale (“Sono cadute le foglie”, “Passano così impercettibili le sere d’autunno”, “Scendono giù le parole”, “S’avvicina Natale”, “Strema la carne l’ago dei chilometri”), mentre il complemento di specificazione viene di norma posposto (“nel cuore del sabato sera”, “tra i rami dell’ultima quercia” 3) nell’uso discreto, e perciò significante, delle anafore, dei parallelismi, dello stile nominale (“La tua presenza, la mia memoria esterna, /il mio coraggio finito in esilio”, “Assente ogni suono, / muto ogni rumore”) 4) nella grande attenzione prestata al piano fonetico (allitterazioni, assonanze, consonanze, rime interne) 5) nel lessico quotidiano 6) nel largo prevalere dei sostantivi e dei verbi sugli aggettivi (dell’essenziale sull’accessorio). Anche i titoli delle due liriche di cui sopra sono riportate le strofe iniziali, rispettivamente “Sabato sera” e “Terrazza”, sono in grado, però, di dirci qualcosa intorno alla poesia di Evaristo Seghetta Andreoli. In primo luogo, suggeriscono una coppia di autori-modello, rappresentati da Saba (“Sabato sera”) e Sereni (“Terrazza”), il Sereni di “Frontiera”: narratività e concretezza, dunque, tonalità quotidiana, realistica e riconoscibilità della situazione e dell’atmosfera storica evocata, che nel caso dell’autore di “In tono minore” coincide con l’attuale società dei consumi, del narcisismo, del principio di prestazione, dell’egoismo e della reciproca sfiducia innalzati al rango di virtù. Inoltre, questi due titoli chiariscono, a mio avviso, anche quale sia il punto di osservazione scelto dal poeta rispetto allo spettacolo dell’esistenza, della propria come di quella delle altre creature, che costituisce il tema di fondo della raccolta.

La sua è una collocazione periferica, marginale, liminare. A essere rifiutato è tanto “il volgere le spalle alla vita” di Mallarmé quanto “l’immersione nella vita” di Penna. Piuttosto – sembra proporre al lettore Evaristo Seghetta Andreoli – occorre fare esperienza della vita, occorre essere uomo in mezzo agli altri uomini, mescolarsi con loro, confondersi con loro; ma poi, se si vuole raccontare questa esperienza (magari per provare a capirla), è necessario frapporre una distanza tra noi e la nostra stessa esistenza, come se la osservassimo dall’alto di una terrazza (“Terrazza”) o in una pausa della nostra quotidianità feriale (“Sabato sera”). È, questa, l’unica maniera possibile per riconoscere nella nostra sofferenza e nella nostra immedicabile solitudine i segni di un destino comune – nel segno della fragilità – che abbraccia tutto ciò che esiste tra la terra e il cielo. Quella che segue è la lirica che apre “In tono minore”.        

Stentiamo a passare: la folla

avanza nel cuore del sabato sera.

Un giacimento in superficie è la via di vetrine:

non scava nel pensiero, né in fondo all’emozione.

Agli angoli del cielo pendono i festoni.

Versano canzoni gli altoparlanti sospesi

sulla cavità delle stelle.

La mano allacciata alla mano

ha bisogno di calore. E noi, soltanto qui,

nella ressa, pelle sulla pelle,

ritroviamo ancora la nostra intimità.

Evaristo Seghetta Andreoli, In tono minore, Passigli, Firenze 2020

a cura di Francesco Ricci