Emiliano Bianchi, Lo sguardo oltre la finestra

Emiliano Bianchi, Lo sguardo oltre la finestra, Palermo, Antipodes, 2015

Anche in Italia, almeno a partire dalla fine degli anni Novanta, realismo e impegno civile sono parole tornate di moda tra chi scrive romanzi, dopo che la letteratura del postmoderno le aveva relegate ai margini del discorso culturale. Sotto questo aspetto, “Gomorra” (2006) di Roberto Saviano può essere considerato un testo esemplare di questa nuova maniera, sia per il suo ispirarsi a fatti veri (da qui anche il taglio da “reportage giornalistico” che possiede) sia per il suo prendere apertamente e coraggiosamente posizione contro la camorra campana (al punto che lo scrittore è costretto a vivere sotto scorta). Anche i romanzi nei quali l’attenzione pare concentrarsi sull’indagine dell’interiorità dei personaggi, sui trasalimenti della coscienza, sui bilanci esistenziali – il trentesimo anno di Ingeborg Bachmann, il quarantesimo anno di Carl Gustav Jung –, non rinunciano, però, a fare attente ricostruzioni del “milieu” sociale, al cui interno uomini e donne vivono e agiscono.

Ad esempio, ne “Lo sguardo oltre la finestra” del senese Emiliano Bianchi, la cura riposta nel lumeggiare il vissuto di Danny, un giovane problematico, orfano di padre, e di Mara, una ragazza che vive senza inibizione alcuna il sesso, non esclude la descrizione accurata riposta tanto nel tratteggiare l’ambiente (la famiglia, la società) al cui interno la personalità dei due protagonisti si è venuta strutturando, quanto dello spazio cittadino (la periferia di Milano), che costituisce lo sfondo delle loro azioni. Il passo che segue, tratto dal capitolo iniziale, immette sin da subito il lettore in una situazione di degrado, materiale e morale, che finisce col costituire l’atmosfera dominante del romanzo, sino al suo sorprendente epilogo.

“Le rotaie cigolarono quando il tram si fermò, avvolto in una coltre di nebbia. Ad ogni fermata sembrava un elefante annoiato che pigramente si alza e prende a camminare. Erano già passate le ventidue e dentro la cabina era rimasto soltanto il puzzo della città che sembrava non volersene andare: puzzo di uomini in giacca e cravatta che si erano mossi in cerca di affari; puzzo di femmine, di mamme, di adolescenti che si erano lasciati trasportare verso la scuola. Puzzo di mendicanti che per spostarsi da un luogo ad un altro avevano utilizzato il tram senza pagare il prezzo del biglietto: parassiti della società. Quella era l’ultima corsa della giornata. La cabina dava l’idea di essere stata sfruttata da quel mondo di sconosciuti che, dopo essersene serviti, l’avevano lasciata andare in solitudine. I sedili erano sporchi e poi gomme da masticare appiccicate sotto i finestrini, giornali letti e stropicciati lasciati a terra. I vetri imbrattati dai graffitari che, credendosi artisti, avevano violato la carrozza rendendola ridicola nella sua nuova livrea multicolori; qualcuno c’aveva disegnato sopra un paio di grossi cazzi bianchi, un uomo barbuto con la pipa in bocca e qualcos’altro che probabilmente neanche l’autore, se glielo avessero chiesto, avrebbe saputo dire cosa raffigurasse”.

Emiliano Bianchi, Lo sguardo oltre la finestra, Palermo, Antipodes, 2015

Emiliano Bianchi, Lo sguardo oltre la finestra, Palermo, Antipodes, 2015

 

a cura di Francesco Ricci