Diego Consales, Dove vivono i mesi, extempora edizioni, Siena 2022

“Dove vivono i mesi” di Diego Consales viene incontro al lettore come solitamente fa un libro di fiabe. La facile leggibilità della pagina, con i suoi ampi spazi e i caratteri nitidi delle lettere, le illustrazioni (di Edoardo Di Prisco, HeeSeo Lee, Maria Nadia Gatti) che precedono ciascuno dei dodici brevi testi, la personificazione e l’animazione dei mesi (“Gennaio allora decide di spostarsi ancora un po’ a destra”, “Giugno aveva deciso di andare a vivere a Istanbul”, “Ottobre entrò nel pub all’apertura”): sì, la prima impressione è giusta, si respira aria di fiaba, di fiaba e di favola. L’atmosfera sospesa – tra sogno e realtà – che avvolge dal principio alla fine “Dove vivono i mesi”, accoglie al suo interno una marcata opposizione tra lo spazio e il tempo. Il primo, infatti, è sempre indicato con grande precisione, si tratti di Monaco, di Liverpool, di Bruges, di New York, di Istanbul, al punto che a volte pare di trovarsi in presenza di un’accurata guida turistica o di appassionati appunti di viaggio. Si consideri, a titolo d’esempio, il passo che segue: “Se guardi dal cielo, il Bryant Park sembra un francobollo incollato sulla cartina di New York. E ti chiedi se i grattacieli siano cresciuti come tronchi intorno alla dentellatura. O se qualcuno lo abbia appiccicato spingendo i palazzi sottoterra come fossero tasselli”.

Il tempo, invece, in “dove vivono i mesi” appare vago, indeterminato: in quale anno siamo? In quale giorno dell’anno? Non viene detto. Può capitare che perfino il secolo non sia troppo evidente. Tale voluta omissione del “quando” è, a mio avviso, molto importante, perché consente di comprendere l’autentica natura del libro di Diego Consales. “Dove vivono i mesi”, infatti, certamente diletta e incanta come soltanto le fiabe sanno fare. Inoltre, offre delle informazioni sul mondo, come è proprio della letteratura di viaggio, a chi non ama lasciare il perimetro rassicurante della propria città o della propria regione.  Ma l’intento che l’autore persegue – o, in ogni caso, il risultato che consegue – è quello di richiamare l’attenzione del pubblico di lettori su una costante (ecco perché il tempo è privo di determinazioni certe e specifiche) della natura umana.

Qual è questa costante? La lacerazione, presente in ogni individuo, tra la stabilità (la costruzione) e il movimento (il fascino del nuovo), tra la sicurezza e l’avventura, tra la casa e la strada, tra l’amore e il desiderio, tra la familiarità e il mistero. Si tratta di forze incomponibili e, in quanto incomponibili, che non conoscono sintesi: o si privilegia il nostro bisogno di sicurezza o si asseconda il nostro anelito a sottrarci al “sempre uguale”.  Eppure, la nostra vita – Diego Consales lo sa bene – è interamente racchiusa entro questo campo di forze opposte, e nulla più del viaggio lo dimostra, portandolo alla luce. Chi di noi, infatti, non ha detto, visitando un paese nuovo, “Qui mi piacerebbe fermarmi”? E chi, gettando uno sguardo all’esterno della sua abitazione calda e accogliente, non ha mai pensato, “Vorrei essere lontano da tutto e da tutti, in special modo da questa noia che mi consuma”? Così finisce che siamo sempre inquieti: amiamo il mare aperto e amiamo il porto. Il passo che segue è tratto dall’introduzione dell’autore.            

“Accade a tutti. Durante un viaggio. Magari mentre si cammina per una strada centrale. Magari mentre ci si trova appoggiati su un ponte ad osservare i riflessi sull’acqua. Magari mentre si sonnecchia su una panchina o si ordina qualcosa appollaiati sullo sgabello di un locale. Magari mentre si guida ascoltando e canticchiando una melodia locale da poco imparata. Accade a tutti. Durante un viaggio. All’improvviso vediamo tutto intorno a noi rallentarsi. Il tempo quasi fermarsi per donarci un attimo che duri più di un canonico istante. E in quell’attimo ci troviamo sorpresi. Nell’accorgerci di quanto tutto sia perfettamente aderente a noi. Come un abito su misura. In quell’attimo cose lontanissime dal nostro quotidiano ci sembrano familiari o vorremmo che lo fossero. In quell’attimo raggiungiamo qualcosa che non pensavamo di cercare. E quasi inconsapevolmente le nostre labbra si muovono mentre gli occhi si socchiudono. Per pronunciare con inattesa consapevolezza quella frase. Per dire: “io qui ci vivrei, io qui ci verrei a vivere”. Accade a tutti. Durante un viaggio. Di trovare nel mondo un luogo perfetto per noi. Per cui provare un’attrazione quasi magica. In cui sentirsi nel fulcro di se stessi. Accade a tutti. E alcuni di essi decidono di andarci a vivere davvero. Come hanno fatto i Mesi. In dodici luoghi in cui sentirsi compiuti”. 

Diego Consales, Dove vivono i mesi, extempora edizioni, Siena 2022

 

a cura di Francesco Ricci