Il bullismo gigante e la bambina

Una bambina di 12 anni. Una bambina di 12 anni che apre la finestra e sceglie di buttarsi nel vuoto. Come se tutto il peso del dolore fosse diventato insostenibile, come non vedere più una ragione per vivere e aver solo voglia di smettere di soffrire. In qualsiasi modo.
Questo è quello che è riuscita a fare un’intera società. Già perché sarebbe troppo semplice dire: sono stati loro, quel gruppo di bulli. Sono stati loro sì, ma sono stati anche i compagni vigliacchi, le figure educative che non vogliono problemi, i genitori con i soliti: “sono ragazzate, lo fanno per scherzare”.

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La domanda che dobbiamo farci è se tutto questo potrà essere cambiato, come si possa arginare una deriva tale di diseducazione, di mancanza di rispetto verso il prossimo. Abbiamo infatti posto l’interrogativo alla psicoterapeuta Monica Perozzi: “Fondamentale è un’azione preventiva. Un’opera di sensibilizzazione che sì con gli anni è aumentata, ma che non sembra mai essere abbastanza. Dovrebbe esserci maggiore partecipazione, una capacità da parte degli insegnanti di mettersi più in gioco anche emotivamente. Spesso c’è la tendenza da parte di tutti a celare gli episodi di bullismo sotto un velo di omertà che non fa altro che accrescere nella vittima il senso di colpa e la scarsa fiducia negli adulti che si rivelano infatti non in grado di proteggere e di gestire la situazione” Inoltre l”aspetto più grave, eppure sottovalutato, è che le conseguenze del bullismo non sono solo immediate come nel gesto estremo della ragazzina di Pordenone, il prezzo che si paga può estendersi a tutta la vita. “Si possono innescare con il tempo, se la vittima non viene subito presa in carico da specialisti-prosegue la psicoterapeuta- meccanismi di identificazione tra vittima e carnefice con il rischio di riproduzione di gesti di aggressività e una più generale difficoltà di empatia. Oppure azioni autolesive o patologie cliniche come depressione”.

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Il detto “quel che non ammazza fortifica” in certi casi non sembra valere, certi traumi non rendono più forte, anzi, erigono un muro intorno, uno schermo tra la vittima e il mondo che non permetterà di avere relazioni sane perché ci sarà sempre la paura di mezzo. Come un cucciolo maltrattato che quando qualcuno gli si avvicina per carezzargli la testa, si ritrae perché si aspetta l’ennesimo schiaffo. Le vittime dei bulli si disabituano così all’amore, all’affetto, ai complimenti.
La bambina di Pordenone si è salvata. Chiamatelo Dio, per chi crede, chiamatelo destino o caso, ma la dodicenne non è riuscita nel suo intento. Come se la vita le avesse chiesto di non rinunciare, di provare ad abituarsi alle carezze. Ed è una carezza che tutti noi dovremmo mandarle, un “andrà tutto bene” sussurrato piano e tutta la forza che le servirà. Come se la celebre poesia di Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dovesse diventare per lei “Verrà l’amore e avrà i tuoi occhi” perché il primo amore da ritrovare dovrà essere per se stessa.
Buona nuova vita cucciola.

Selene Bisi