Bullismo, come gestirlo?

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Il comportamento del bullo consiste in azioni che possono durare mesi, addirittura anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime.

Nella maggior parte degli atteggiamenti violenti c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare. Va fatta però una distinzione tra bullismo e singoli episodi trasgressivi e antisociali; in questo caso si tratta di litigi e discussioni tra pari in cui non c’è necessariamente uno squilibrio nella relazione; si può trattare di comportamenti legati alla ricerca della propria identità, al modo di porre dei limiti tra se’ e l’altro, in un momento, quale l’adolescenza, di grandi cambiamenti personali e sociali.

Per parlare di bullismo, non è sufficiente, quindi, che si verifichi un singolo episodio litigioso tra studenti, ma deve instaurarsi una relazione che, cronicizzandosi, crei dei ruoli ben definiti: colui che subisce le prepotenze (la vittima) e colui che le infligge ( il bullo).

Gli studi più recenti hanno permesso di individuare due tipologie di vittima, quella passiva e quella provocatrice; la prima si caratterizza dalla bassa autostima, debolezza fisica e mentale, che diventa facile preda per il bullo; la seconda ha bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione, vuole essere elogiata  e tutto questo infastidisce il bullo provocandone la reazione.

Sono state individuate anche tre tipologie di bullo: aggressivo, ansioso, passivo o sobillatore. Il primo ha bisogno di un capo espiatorio su cui sfogare la propria rabbia, non si cura delle conseguenze, e’ impulsivo, non condanna la violenza inferta, e’ molto forte fisicamente e manca totalmente di empatia. Questa è la categoria nella quale rientra la maggior parte dei bulli.

Il secondo attacca e cerca il suo capo espiatorio e fa del male gratuitamente, tuttavia è sufficiente un rimprovero perché ceda di fronte ai suoi sensi di colpa.

Il bullo passivo svolge un ruolo di sostegno a quello aggressivo, esalta e potenzia le qualità del proprio leader che generalmente trae la sua forza dalla presenza di seguaci.

Generalmente, infatti, gli episodi di bullismo avvengono in gruppo; c’è un momento, durante l’adolescenza, in cui il gruppo di coetanei diventa il principale punto di riferimento. I ragazzi, spesso soli, in preda alle loro ansie, al loro malessere, alla loro angoscia, si rifugiano in una dimensione collettiva, che permette loro di colmare quel vuoto lasciato dai legami infantili familiari.

Il fenomeno del bullismo si è andato incrementando sempre più e coinvolge in modo trasversale le diverse fasce sociali; alla sua base c’è sempre la manifestazione di un disagio affettivo che trova le basi nella famiglia e in una società in cui le istituzioni, come la scuola, hanno perso la propria autorevolezza.

Durante i primissimi anni di sviluppo del bambino, la realtà esterna e’ piuttosto instabile, non sa come affrontare i propri istinti e per riuscire a gestire questi aspetti ha bisogno di un ambiente familiare stabile che gli consenta la sua attività esplorativa per poi stabilire una chiara distinzione tra se’ e non-se’; ciò è possibile grazie alla presenza di figure, quali quelle del padre e della madre, che proteggano e impongano regole con fermezza.

Il bambino ha quindi bisogno di qualcuno che gli permetta di canalizzare la propria aggressività per poterla integrare al sentimento di amore, raggiungere così un equilibrio che gli consenta di gestire queste due emozioni.

Alcuni autori hanno collegato la genesi del l’aggressività distruttiva, cioè svincolata dal controllo dell’io, alla frustrazione precoce dell’attività esplorativa tipica in ogni bambino. È importante non ostacolare il figlio nel suo primo contatto con l’ambiente; questo atteggiamento di rifiuti nei confronti delle esigenze del piccolo, impedisce la manifestazione della sua sana aggressività’ e quindi lo sviluppo dell’io, in quanto se ne limita la sua possibilità esperienziale.

I comportamenti delinquenziali possono rappresentare una sorta di sos lanciato per ricercare persone forti e rassicuranti, ma il ripetersi di risposte negative da parte degli adulti fa perdere loro la speranza che ciò avvenga; sprovvisti di punti di riferimento non riescono più a canalizzare la propria aggressività se non verso l’esterno, non conoscono più limiti tra se’ e l’altro e perdono quel senso di amore che li rende incapaci di percepire la realtà se non attraverso la violenza.

Come detto in precedenza, il bullismo consiste in una relazione particolare tra vittima e carnefice e ciò che li unisce e’ una comune sfiducia nella possibilità degli adulti di comprendere i loro problemi.

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Il bullo non si fida perché teme di diventare,a sua volta, oggetti di derisione o di aggressività’ fisica o verbale: egli teme che le sue emozioni irritino il genitore e che questo non si preoccupi di comprendere il senso delle sue azioni che esprimono un grande disagio.

Anche la vittima, allo stesso modo, non si rivolge all’adulto in quanto ha paura di deluderlo e di ricevere altre umiliazioni qualora il genitore si rivolgesse direttamente al bullo.

Quindi tra vittima e bullo si viene a creare una situazione di identificazione in cui, nella prima, non si ha una reazione di rifiuto o difesa, bensì si sottomette all’aggressore, rinuncia alla propria persona identificandosi completamente con ciò che l’aggressore si aspetta da lui; nel secondo, a livello più profondo, la vittima rappresenta la parte debole di se’ da umiliare ed eliminare per lasciare il posto all’eroe nato dalle sue ceneri.

A scopo preventivo, e’ fondamentale riconoscere il ruolo svolto dai genitori nel facilitare il processo di maturazione; le cure ricevute nei primi stadi ci consentono di accettare la propria componente aggressiva, che emerge in tutti gli aspetti della vita infantile e anche nelle relazioni affettuose, riducendo così  il rischio di andare incontro a violente e incontrollate esplosioni di aggressività.

 

Dott.ssa Monica Perozzi
medico chirurgo – psicoterapeuta