Siena e la politica – La “vigliaccata” di Matteo Renzi

Altro che i 100 giorni, così cari alla tradizione americana. Altro che luna di miele fra il sindaco neo-eletto e di suoi cittadini…
Il 2 settembre 2013, nemmeno tre mesi dopo la vittoria su Neri al ballottaggio, il ciclo politico di Bruno Valentini era già finito. Ed era stato proprio il suo Partito Democratico, che aveva voluto ridurlo all’impotenza politica ed alla inutilità, con tre autentiche “vigliaccate” nel giro di meno di un mese.
La prima fu in occasione delle nomine della Deputazione amministratrice della Fondazione Monte dei Paschi, il 5 agosto. Valentini era stato prudente, nominando Egidio Bianchi, Sergio Betti, Barbara Lazzeroni ed Alessandra Navarri, ma questo non era bastato al suo partito. Alessandro Mugnaioli, sconfitto da Valentini alle primarie, e provocatoriamente messo a fare il segretario comunale del Pd, commentò questo primo atto del sindaco con la frase “la città si aspettava di più”. Personalmente decisi che per me era abbastanza: presi una famosa frase di Luciana Littizzetto (“Certe cose si risolvono solo con un vaffanculo”), la pubblicai su Facebook sopra la foto di Mugnaioli e con una mail al mio circolo, abbandonai il Pd senese, dedicandomi a tempo pieno a Siena Cambia, di cui ero stato socio fondatore.
Pochi giorni dopo fu invece Simone Bezzini, che nella sua irripetibile carriera di “prestanome” della politica senese, era in quel momento presidente della provincia di Siena ad assestare il secondo colpo a Valentini. Tema, stavolta, la presidenza della Fondazione Monte dei Paschi. Dopo i “sette anni calamitosi di Gabriello Mancini”, come li definì Andrea Greco su Repubblica, era necessaria una svolta. Valentini propose il nome di Francesco Maria Pizzetti, vicino a Romano Prodi e già presidente dell’authority per la privacy, ma il nome venne subito bocciato senza pietà da Bezzini a nome dell’apparato del Pd, che sostenne invece Antonella Mansi fino a portarla alla presidenza.
Il messaggio era chiaro, ed è la stessa tecnica usata più di recente contro Stefano Scaramelli: nessuna proposta di Valentini doveva passare, qualsiasi cosa dicesse o proponesse, il partito la doveva bocciare.
Ma la vigliaccata gigante arrivò in “diretta nazionale” il 1 settembre e portò la firma nientepopòdimeno che di Matteo Renzi, in quel momento soltanto sindaco di Firenze. Parlando alla Festa dell’Unità di Genova, all’improvviso disse: “Adesso vi svelo un particolare, ieri mi ha mandato un messaggino il sindaco di Siena Valentini, Matteo, allora vado a dritto sulle nomine, okay?. E io gli ho risposto: “Bruno ma che c’entro io con le nomine del Monte Paschi”. Perché la politica non deve mettere bocca in queste cose”.


Altro che le controfigure ceccuzziane… il leader rampante del Pd e della politica nazionale in persona si era scomodato per delegittimare Valentini e togliergli ogni appoggio del partito. Un gesto incredibile, inspiegabile, sproporzionato rispetto ad un sms tutto sommato innocente e che aprì le porte ad ogni dietrologia: chi aveva chiesto a Renzi di farlo? E perché, da allora, Renzi non ha mai più voluto occuparsi del Pd senese?

Roberto Guiggiani

(4-continua)