“Siamo così, e così diamo una mano”. Il Laboratorio sostiene Amatrice

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Continua il viaggio nel terzo settore della città. L’associazione il Laboratorio ci racconta i suoi trent’anni di attività e, per festeggiare, un’iniziativa che parte proprio dai loro ragazzi disabili

“Ma noi, anche se siamo così, non possiamo fare niente?”. Sono fragili e consapevoli di essere diversi. Ma la forza dei ragazzi disabili del gruppo Il Laboratorio è racchiusa in questa richiesta: un disperato bisogno di aiutare gli altri, nonostante la loro disabilità. “Ci siamo emozionate – racconta Antonella Butini Montagna, presidente dell’associazione – quando ci ha chiesto di aiutare le popolazioni colpite dal terremoto di Amatrice. Proprio dai ragazzi è partita la nostra iniziativa: quella di raccogliere fondi organizzando tre cene, da qui ad aprile, per portare i soldi alle famiglie terremotate”. L’associazione festeggia quest’anno trent’anni di attività. E non poteva farlo nel modo migliore. “Sono molto coinvolti – continua Antonella – e abbiamo organizzato tutto insieme a loro, durante gli incontri della mattina in cui parliamo degli avvenimenti successi nella settimana. Ognuno dice la sua e c’è da parte di tutti il forte bisogno di aiutare gli altri. Il nostro stimolo per andare avanti sono loro, che si fanno in quattro quando cercano di spingersi oltre le loro carrozzine e la malattia che li consuma giorno dopo giorno. Con loro abbiamo imparato il vero senso della vita”.

 

Com’è nata la vostra associazione?

“Siamo nati nel 1986, nella parrocchia del Beato Bernardo Tolomei. Il Laboratorio è un centro gestito da circa 70 volontari, in collaborazione con la Usl, il Comune e la Caritas Diocesana. Prima di fondare l’associazione, seguivo i giovani che dovevano prepararsi alla comunione e alla cresima. Poi mi fu chiesto di organizzare un ‘dopo cresima’ nella parrocchia, con attività per i ragazzi. Avevo anche i miei figli e mi sentivo molto stimolata. Da qui, nacque l’idea di creare un vero e proprio servizio, rivolto ai giovani in generale. Come insegnano gli scout, a cui ho prestato servizio per molti anni, abbiamo pensato di fare un’indagine sulla popolazione del territorio per individuare quali servizi mancassero in città. Venne fuori una richiesta precisa dai cittadini, quella di un laboratorio che accogliesse i disabili e li stimolasse con attività e gite. Ecco che allora ci siamo dati da fare per creare un vero e proprio servizio, ormai diventato di grande aiuto per la città”.

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Come è cresciuto il centro, dagli anni ’90 ad oggi?

“All’inizio avevamo solo 8 ragazzi, pochissimi rispetto ad ora. Avevamo poche stanze attrezzate, perché la parrocchia non disponeva di molti mezzi. Anche i volontari erano molti meno, all’inizio solo una quindicina. Siamo cresciuti in pochi anni, segno di un reale bisogno che doveva essere colmato da qualcuno. Ad oggi abbiamo 35 persone disabili che fanno parte del centro, assistiti da almeno 70 volontari che si alternano di giorno in giorno. Per chi volesse aiutarci noi chiediamo solo tre ore alla settimana, per permettere a tutti di poterci aiutare. I volontari si dividono le attività e ne proponiamo una diversa ogni giorno, per non essere ripetitivi. Una volta al mese organizziamo una gita o una cena. Dipende da cosa riusciamo a fare. I nostri disabili vanno dai 35 ai 60 anni, ma alcuni sono venuti da piccoli e sono rimasti con noi anche dopo superata la maggiore età. Il nostro obiettivo è da sempre quello di promuovere la socializzazione dei portatori di handicap, aiutandoli a instaurare rapporti di amicizia con i loro coetanei. Anche se paralizzati, alcuni di loro hanno una forza invidiabile, con delle capacità intellettuali davvero buone per la loro condizione. E così anche noi non ci perdiamo mai d’animo”.

 

Come mai il nome Il Laboratorio?

“Il Centro è un laboratorio perché vi si svolgono vari tipi di lavori e occupazioni: manufatti in legno e creta, uso di colori, ascolto di musica, canto, danza, recitazione e cucina. Queste attività, oltre a tenere occupati i nostri ragazzi, contribuiscono a migliorare le loro percezione di sé e rappresentano un motivo di gratificazione quando i lavori realizzati vengono esposti in mostre aperte a tutti. Ciò che inizialmente ha spinto i giovani della Parrocchia a partecipare a questa attività è stato il desiderio di dare concretezza alla Fede con gesti semplici nei confronti di chi soffre: il “fare” per i disabili è divenuto presto il fare con i disabili, eliminando barriere nei confronti del “diverso”. Ora per i volontari, giovani e adulti, anche non parrocchiani, frequentare il Centro significa provare il piacere di stare insieme, di ridere e cantare tra amici”.

 

Quali attività avete svolto negli anni?

“Già dal 1994 il Centro ha sperimentato la modalità della “vacanza insieme”, con l’organizzazione di una settimana verde nel mese di luglio. È stata forse questa l’inaugurazione di una serie di iniziative di grande successo, come i 3 giorni alle Cinque Terre, le gite in montagna, il weekend a Gardaland. E poi anche tre giorni a Venezia, la crociera a Lourdes, la visita all’ Isola della Maddalena, i viaggi in Croazia e in Sicilia. I nostri ragazzi hanno sperimentato tutto, dal treno all’aereo, oltre all’autobus. Abbiamo anche girato un film, sa? I nostri ragazzi hanno preso spunto dagli spezzoni dei film più famosi. Poi lo abbiamo presentato nell’auditorium di Banca Chianti e non vi potete immaginare quante risate! Sono stati momenti davvero felici. Siamo affezionatissimi, io ho coinvolto tutta la famiglia nell’attività. È che quando ci sei, ti prende anima e corpo. E non lo fai per passatempo, ma perché ci credi e ti da soddisfazione! Facciamo anche un giornalino e un libro con tutte le gite. Il venerdì mattina facciamo il giro ‘alla scoperta di’, dove andiamo a cercare le storie delle contrade, dei borghi, dei castelli, e delle chiese. Ci siamo sempre spinti oltre il confine della disabilità, senza farci scoraggiare dalle carrozzine pesanti o dalla paura di alcuni nell’affrontare nuove esperienze come i viaggi all’estero. Sono cose che rimarranno nella mente e nel cuore di ognuno di noi, un’esperienza emozionante che ti fa sorprendere di quanto la vita sia importante”.

 

Perché queste iniziative sono importanti per i vostri ragazzi?

“Sicuramente per il fatto di partecipare ad attività che contribuiscono a farli sentire uguali agli altri. Parlo di attività come passeggiate in quota, il campeggio, escursioni sui pedalò, visite culturali che danno loro modo di arricchire le loro conoscenze. Vengono soli o accompagnati dai genitori alle attività di gruppo, un elemento che contribuisce alla loro voglia di stare insieme e di condividere esperienze con altre persone. Chi partecipa, inoltre, può contare sulla presenza costante e rassicurante dei volontari, adulti e ragazzi. Per i genitori è un sostegno di grande aiuto e, insieme alle altre famiglie, hanno la possibilità di conoscersi meglio, scambiarsi idee, esperienze ed opinioni. Un elemento importante che, come abbiamo già avuto modo di osservare, sviluppa un senso di solidarietà ed amicizia tra le famiglie e le fa sentire meno sole con la loro situazione di sofferenza”.

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Qual è il sostegno della città e delle istituzioni per portare avanti il vostro lavoro?

“Abbiamo una convenzione con il comune che cerca di coprire alcune spese per ogni ragazzo. Certo, ci sarebbe ancora tanto da fare, i soldi non bastano mai. Ma noi ci diamo da fare con iniziative e eventi, come mercatini, cene a tema e lotterie. Facciamo ogni anno il cocktail di beneficenza e spesso siamo appoggiati da ristoranti e aziende vinicole. Il Mestolo, ad esempio, quest’anno ci ha offerto il buffet e le case vinicole ci hanno dato il vino”.

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Quali progetti avete per il nuovo anno?

“Con i soldi ricavati dalle cene abbiamo in mente di fare un campo scuola al mare con i nuovi volontari, i più giovani, per insegnarli a fare servizio e ad occuparsi dei disabili. Noi veterane ormai abbiamo tutte 60 anni suonati e, si sa, c’è bisogno di un ricambio generazionale. Abbiamo mandato un progetto alla Regione, con cui speriamo di avere altri contributi per pagare tutte le spese. La Fondazione Mps ci regalò 3 pulmini, che usiamo per le nostre trasferte. Le altre attrezzature le abbiamo comprate, qualcosa ci ha regalato la Usl. Insomma, la collaborazione c’è e non solo con le istituzioni, ma anche tra le varie associazioni: noi prestiamo i nostri pulmini a chi non può permetterseli. Il sindaco ci dà il palco gratis per il Palio, almeno 12 posti. Ogni anno andiamo a mangiare in un ristorantino vicino Piazza del Campo, che ci fa sempre una grande festa e un prezzo speciale. Certo, se ci fossero più mezzi si potrebbe fare molto di più. Ma riusciamo ad andare avanti nonostante i momenti di crisi di questa città”.

 

Tra attività e incontri, ci racconta un aneddoto divertente che avete vissuto con i vostri ragazzi?

“Lo ammetto, i nostri ragazzi sono proprio simpatici. Vi racconto questa: ogni anno facciamo i raduni con i motociclisti Harley all’isola d’Elba, 4 giorni di mare e cene insieme. Un anno, oltre a noi, avevano coinvolto anche una struttura di Portoferraio, con cui abbiamo trascorso vari momenti. Una sera a cena, una delle nostre ragazze si alza e, dopo aver guardato i giovani disabili dell’atra associazione, viene da me e mi dice “Certo che noi siamo parecchio meglio”! Questo per dire che loro si rendono conto della disabilità, ma, come spesso dicono, ‘anche se siamo così non ci possiamo fare niente’.  È vero, nessuno può farci niente. Ma aiutarli a vivere dignitosamente, questo si”.

Michela Piccini