Se il decreto salva le banche ma uccide il risparmio non è una buona cosa

Se il decreto salva le banche ma uccide il risparmio non è una buona cosa. Non è una buona cosa perché ricade su chi, alle banche, aveva dato fiducia. E va a pagare chi, alle banche, ha portato sfacelo.

Strana cosa quella per la quale “nell’Italia de noiantri “a pagare sono sempre i soliti noti (i cittadini) ed a riscuotere i soliti ignoti (manager, trader e varia umanità bancaria) che rimangono nell’ombra nella buona come nella cattiva sorte.
Nei codici, come nelle normali regole di convivenza civile, si dice che chi ha fatto un danno paga: è previsto per le varie responsabilità di carattere civile, contrattuali e non, come in quelle penali. Le testimonianze (e le codifiche) partono dagli albori del diritto romano (responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana), per essere perfezionate in epoca medievale, poi nel Rinascimento ed arrivare fino al Diritto Napoleonico. Si sono evolute varie teorie, più o meno elaborate, più o meno rigide ma in estrema sintesi il princìpio, quello per il quale si è responsabili del casino che si produce, era sempre stato rispettato. Inquisitori e liberisti si erano succeduti ma su questo non pioveva: “hai fatto un troiaio e ora devi rimediare”.
Con il decreto salva banche pare che questo non valga più. Pagano i risparmiatori, pagano gli imprenditori, pagano i correntisti ma non paga chi ha determinato tutto questo sfacelo. In prima battuta, cioè, riscuote chi ha diretto le banche (in definitiva gli unici artefici dei crack), i broker che le hanno uccise e chi ha assecondato la loro condotta fallimentare (Bankit e Consob) e paga chi ha dato loro fiducia.
Mi sono riletto un passo di un articolo apparso una quindicina di giorni fa sulla stampa che vi riporto, perchè mi piace..
“…..i dati sono riferiti al 2015 (quelli del 2016 saranno disponibili dopo l’approvazione dei bilanci) Considerando il totale dei compensi dell’anno – fisso, bonus, benefici non monetari, esclusa la parte equity -, il più pagato fu l’ad di UniCredit Federico Ghizzoni, che guadagnò 3,2 milioni, cifra equivalente allo stipendio medio di 90 dipendenti. Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo, ottenne 2,3 milioni. Fu di 1,9 milioni la remunerazione degli ad del Banco Popolare e di Mps, Pier Francesco Saviotti e Fabrizio Viola. Victor Massiah, alla guida di Ubi, ebbe quasi 1,6 milioni, lo stipendio di 44 figure medie.
Cifre elevate anche nelle banche in grave difficoltà: in 214 giorni da amministratore delegato della Popolare di Vicenza, Francesco Iorio incassò quasi 2,7 milioni di euro (compresi 1,8 milioni di una tantum), come 128 dipendenti. In sei mesi in Veneto Banca Cristiano Carrus e Vincenzo Consoli ebbero 580 mila euro a testa”.
Evito, per pietà di grazia, di parlare dei compensi dei trader e degli intermediari finanziari che, operando spesso anche in regime di non-tassazione, portano a casa decine di milioni di euro all’anno.
Unico comune denominatore è che queste persone fanno soldi con i risparmi delle persone perbene. Fottendoli se va male.
Ma nel Bel Paese basta avere Sanremo, l’Isola dei Famosi e il voyuerismo su Avetrana, per esempio.

E allora viva l’Italia.
Luigi Borri