Riforma costituzionale, le altre modifiche

Dopo aver visto come cambieranno il Senato e il Titolo V della Costituzione, con la quarta puntata della nostra guida andiamo alla scoperta del resto delle modifiche previste dalla riforma costituzionale.

Referendum e proposte di legge di iniziativa popolare

Per quanto riguarda il referendum abrogativo, verrà mantenuta la soglia minima delle 500 mila firme (o dei 5 consigli regionali) insieme al tradizionale quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Sarà però introdotta anche una seconda soglia da 800 mila firme, che se raggiunta modificherà il precedente quorum: per avere una votazione valida sarà sufficiente il voto della metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche (e non la metà più uno degli aventi diritto, ndr).

La riforma lascia aperta la possibilità di introdurre referendum propositivi, rimandando però ad una successiva legge costituzionale che ne stabilirà i limiti e il funzionamento.

Allo stesso tempo viene innalzato da 50 mila a 150 mila il numero di firme necessarie per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare, che dovranno essere necessariamente esaminate dal Parlamento (oggi, invece, Camera e Senato non sono obbligati a calendarizzarle e a discuterle, e possono semplicemente decidere di ignorarle, ndr).

L’elezione del presidente della Repubblica

Il presidente della Repubblica continuerà ad essere eletto in seduta comune da entrambe le Camere, ma senza la partecipazione dei delegati regionali. La maggioranza richiesta cambierà con l’avanzare delle votazioni: dal primo al quarto scrutinio sarà necessaria la maggioranza dei 2/3 dei componenti, dalla quarta alla settima votazione i 3/5 (sempre dei componenti, ndr) e dalla settima in poi sarà sufficiente il voto dei 3/5 dei presenti.

Oggi, invece, fino al terzo scrutinio sono richiesti i voti dei 2/3 dei membri del Parlamento, mentre dal quarto in avanti è richiesta la maggioranza assoluta (50%+1 dei componenti, ndr).

Limiti alla decretazione d’urgenza

La riforma inserisce all’interno della Costituzione alcuni punti per limitare il ricorso alla decretazione d’urgenza. In particolare, sarà vietato utilizzare decreti legge nelle materie previste dal nuovo articolo 72 comma 5 della Costituzione: cioè in ambito costituzionale, di delegazione, di ratifica di trattati internazionale e di approvazione del bilancio dello Stato. Anche in materia elettorale non potranno essere adottati decreti legge, se non per provvedere all’organizzazione e nel fissare i dettagli dello svolgimento delle elezioni.

I decreti legge non convertiti entro 60 giorni non potranno essere reiterati (non potranno cioè essere riproposti al Parlamento con lo stesso contenuto, ndr) e l’esecutivo non potrà regolare i rapporti giuridici nati sulla base di decreti legge decaduti.

Infine, il Governo non potrà restituire efficacia a norme giudicate illegittime dalla Corte costituzionale attraverso lo strumento del decreto legge.

L’abolizione del CNEL

La riforma prevede anche l’abolizione di un organo non molto conosciuto: si tratta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, previsto dall’articolo 99 della Costituzione.

Composto da 64 membri fra “esperti e rappresentanti delle categorie produttive”, è un organo consultivo con poteri di iniziativa legislativa ed è nato nel tentativo di creare un “ponte” fra la società civile e il mondo della politica. Dal 1957 ad oggi il Cnel ha prodotto un totale di 970 documenti, fra cui 96 pareri, 350 osservazioni e proposte e 14 disegni di legge.

La nomina dei giudici della Corte costituzionale

Mentre oggi un terzo dei 15 giudici costituzionali viene nominato dal Parlamento in seduta comune, se la riforma dovesse essere approvata essi verranno nominati in modo separato, rispettivamente tre dalla Camera e gli altri due dal Senato. Gli altri dieci giudici continueranno ad essere nominati dal presidente della Repubblica e dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.

Il controllo preventivo di costituzionalità delle leggi elettorali

Inoltre, verrà introdotta la possibilità di sottoporre al giudizio della Consulta le leggi elettorali per stabilirne, prima della loro entrata in vigore, la conformità alla Costituzione (sempre che almeno un quarto dei componenti della Camera oppure un terzo di quelli del Senato ne faccia richiesta, ndr). Si tratta di una vera e propria novità, dato che oggi, in Italia, la Corte costituzionale può giudicare la legittimità di un atto avente forza di legge soltanto dopo la sua promulgazione.

Giulio Mecattini