Omicidio Castelnuovo, la verità delle sorelle della vittima: “Abramo non era un mostro”

“Ora basta, su nostro fratello sono state dette e scritte cose terribili. Abbiamo deciso di parlare perché lui non merita tutto questo”: a parlare sono due delle sorelle dell’uomo di 63 anni da tutti conosciuto come Abramo che dormiva e lavorava come tuttofare nella  fornace laterizi di Castelnuovo Berardenga Scalo, una ditta  ieri un gioiello nel produrre mattoni di prima qualità e oggi praticamente a regime ridotto. Ed è nella palazzina una volta adibita ad uffici e direzione e poi trasformata in appartamenti che Abramo ha trovato la morte lo scorso 4 gennaio.

E sono proprio le due sorelle dell’uomo che abitano a Taverne d’Arbia a raccontare le ultime ore di vita del loro congiunto nel tentativo di togliergli l’infamia di essere un violentatore di ragazzine. L’intervista è congiunta ma in questo articolo comparirà solo il nome di una delle due donne perché l’altra, la più giovane, è madre di due minori con gravi problemi di salute. Abbiamo scelto la riservatezza proprio per tutelare i due bambini che devono rimanere lontani da clamori e scoop giornalistici, presunti o veri che siano. Una lunga intervista con ricordi, aneddoti e speranze spezzate spesso dal pianto della  più giovane. Nel loro racconto aldilà di tutto abbiamo scelto il tempo. E’ un elemento importante nelle ore precedenti e successive la scoperta dell’omicidio. L’orologio come sempre cristallizza la giornata di vittima e presunto autore del delitto e porta elementi utili alla ricostruzione dell’accaduto. Naturalmente va tenuto presente che siamo in presenza di due etnie che hanno radici, storie e tradizioni diverse. Bisogna conoscerle e cercare di interagire. Non ci si può fermare alle apparenze.

“Quando mia sorella – racconta Mina – torna in Italia da Casablanca nostro fratello il giorno viene a pranzo da noi. Era accaduto anche quel sabato”.

Cosa accade quel giorno? “Era arrivato poco prima delle 13 – dice ancora Mina e la sorella lo conferma -. Abbiamo pranzato, ma era nervoso. Abbiamo chiesto il motivo e lui ha semplicemente risposto che con quei senegalesi le cose non andavano. Aveva ripetuto che frugavano nelle sue cose. La stessa frase detta diverse settimane prima”.

E poi? “Era uscito alle 13,35 perché doveva prendere il treno ad Arbia per tornare a Castelnuovo. Non so se abbia preso l’autobus, oppure sia andato a piedi. So solo che si è messaggiato con la figlia tramite whatsapp fino alle 14,37. Era molto unito a mia nipote. Lei abita in Arabia Saudita è mamma di un bambino di 3 anni ed è incinta di 5 mesi. Da quando ha saputo della morte del padre è ricoverata in ospedale. Speriamo che non perda la sua creatura. Insomma era sempre in contatto con la figlia. In continuazione. Invece dalle 14,37 di quel 4 gennaio dove lui le dice che sta arrivando il treno più nulla. E’ stato ammazzato appena arrivato a casa?” Si domanda e domanda la donna.  “Da quel momento il telefonino era rimasto muto. Lui si messaggiava con la figlia a giornate intere”.

Un attimo di silenzio e poi interviene la sorella più piccola. Era lei ad avere più dialogo e maggiori rapporti con il fratello. A sentirla parlare viene in mente di quando decenni fa anche da noi i grandi di casa davano del voi ai genitori e gli ultimi arrivati, invece, del tu. “Mio fratello non ci permetteva di entrare in quella casa perché mi diceva che era frequentata da tanti uomini. Anni fa tra lui e quei senegalesi c’era stata una lite dopo che mio fratello aveva trovato uno sconosciuto a dormire in corridoio. Era stata presentata anche una querela ai carabinieri di Asciano che poi era stata ritirata. In tutto questo ci sono tante cose che non tornano”.

Quali? “Mio fratello due giorni dopo vale a dire il lunedì successivo alla sua morte doveva partire per il Marocco per stare vicino a suo figlio ricoverato in ospedale.  Aveva ritirato dei soldi. E pian piano stava levando tutto il denaro in banca perché ad aprile sarebbe definitivamente tornato a Casablanca dove abitano i nostri fratelli, sua moglie e suo figlio. Sono stati trovati quei soldi? E se sì chi ce l’ha? A noi i carabinieri non ci hanno detto nulla del denaro.”

Abramo aveva l’abitudine, una volta intascato il denaro, di mostrarlo a tutti e diceva sempre: “Guardate, sono ricco”. “Era una sua debolezza – sostiene la sorella più giovane – e tante volte io gli avevo detto che quel suo modo di fare avrebbe fatto arrivare qualche malintenzionato”. 

“D’altronde – interviene Mina – abbiamo saputo della morte di nostro fratello perché mio cognato il giorno dopo è andato a fare il pieno alla macchina al distributore di Taverne. E’ là che gli hanno detto: ma hanno ammazzato il fratello di tua moglie? E’ tornato a casa trafelato e ce l’ha detto. Mia sorella è svenuta e solo dopo alcune ore sono arrivati i carabinieri”.

Martedì la sorella più grande ha fatto il riconoscimento del cadavere e nel pomeriggio di oggi lei e la sorella sono  dai carabinieri per essere ascoltate. “Non sappiamo quando ci ridaranno la salma, comunque faremo il funerale a Casablanca. E’ qua che lo aspettano sua moglie e tutti i nostri parenti e in fin dei conti è qua che voleva ritornare tra neppure tre mesi. Nostro fratello era un marito, un padre e un nonno. Non crediamo che abbia cercato di violentare quella ragazza che praticamente conosceva fin da piccolissima. Non era capace di fare questo. Non continuate a raccontare e scrivere cattiverie”.

Cecilia Marzotti