Nico Naldini racconta Pasolini

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Amo Pasolini di un amore che non conosce misura né ritegno, che poi, alla fine, è la sola maniera di amare veramente. Di conseguenza, mi risulta molto difficile parlare di lui facendo in modo che il giudizio critico non sia falsato dall’ammirazione che gli porto. E’ un rischio che però corro, che mi è impossibile non correre. Non a caso, in quasi tutti i saggi di critica letteraria che ho scritto (“Il Nulla e la luce”, “Un inverno in versi”, “Da ogni dove e in nessun luogo”), un capitolo o un paragrafo è sempre stato dedicato a Pasolini. Ciò non dipende unicamente dal fatto che di lui apprezzo i romanzi, adoro le poesie (straordinari gli undici poemetti che compongono “Le ceneri di Gramsci”), trovo geniali alcune scelte rivoluzionarie operate in ambito cinematografico, riconosco nei suoi articoli un’insuperata sintesi di forza argomentativa e di passione, una capacità rara, cioè, di rivolgersi alla testa e al cuore, di esprimersi con la testa e con il cuore. La ragione profonda del mio amore per Pasolini discende, primariamente, dal suo essere stato un eretico, un corsaro, un diverso, un visionario, un profeta, uno spirito libero, un ricercatore inesausto di verità, e mai, mai, un servo di partito, organico al Palazzo (sua la celebre definizione) e innamorato del potere e dei salotti che contano. In lui, in sostanza, amo l’intellettuale ancor prima dell’artista, e lo amo con la inconsolabile malinconia di chi sa bene che con lui, in quella maledetta notte tra il primo e il due novembre del 1975, all’idroscalo di Ostia, se ne è andato anche l’ultimo intellettuale di questo paese. Al suo posto, a riempire il vuoto lasciato, nani, tromboni, pagliacci e puttane. Il passo che segue è tratto dal capitolo conclusivo della nuova edizione di “Breve vita di Pasolini” di Nico Naldini, suo cugino, al quale si deve anche la curatela degli inediti pasoliniani nel catalogo Guanda.

“Laura Betti mi telefonò alle otto del mattino di domenica: “Hanno ammazzato Pier Paolo, vieni qui (a casa sua)”. Le notizie improvvise anche se tragiche infondono un impulso euforico: è la novità del fatto. Quella mattina dovevo passare in via Margutta per poi proseguire con Fellini per Fregene. La sera precedente avevamo cenato in uno dei ristoranti frequentati a turno con la piccola brigata dei suoi collaboratori e amici, Normina Giacchero, Lilliana Betti, Tilde Corsi. Gli telefonai prima di uscire di casa, Federico lanciò un urlo ma avevo già riattaccato. Alla sera mi dissero che era passato più volte davanti alla casa di Pasolini all’Eur. Susanna era irrequieta; erano passate le due del pomeriggio, il pranzo era pronto in tavola ma non sapeva decidersi a bussare alla porta della camera del figlio. Erano già arrivati alcuni amici; ci si scambiava frasi occasionali. Quando a un suono del campanello andò ad aprire la porta si trovò di fronte Giulio Einaudi. Lo salutò, “la riverisco”. Quello che è accaduto dopo è conservato in un sottovuoto della memoria. Vecchi ricordi come durante la lavorazione del “Vangelo” quando Pier Paolo aveva detto a sua madre “Ricorda Guido”, il fratello partigiano morto a diciannove anni. Avevo rabbrividito di fronte alla finzione che ridiventava realtà. Ma le urla che adesso si sentivano, solo un emiciclo greco di pietra avrebbe potuto contenerle”.

coperta guida cerveteri

Nico Naldini, Breve vita di Pasolini, Parma, Guanda, 2015.

 

a cura di Francesco Ricci