Manolo Portanova condannato a 6 anni per violenza sessuale

Sei anni a Manolo Portanova, questa è la sentenza arrivata da pochi minuti. Il calciatore del Genoa è stato infatti condannato a 6 anni dal tribunale di Siena per violenza sessuale di gruppo in relazione agli abusi a una ragazza in un appartamento del centro storico senese. Il fatto avvenne la notte fra il 30 e il 31 maggio 2021. La stessa pena è stata inflitta anche allo zio del calciatore. Tutti e due avevano scelto il rito abbreviato. Il terzo indagato per questa vicenda ha scelto invece il rito ordinario ed è stato rinviato a giudizio alla fine dell’udienza preliminare.Oltre ai 6 anni di pena, il giudice lo ha condannato anche a una provvisionale di 100mila euro a favore della ragazza, di altri 20mila euro alla madre della stessa giovane e di ulteriori 10mila euro all’associazione Donna chiama Donna costituitasi parte civile.
Da parte dell’avvocato di Portanova, Gabriele Bordoni, al termine di un’udienza era arrivata la proposta di un risarcimento per la ragazza. La studentessa però rifiuta l’offerta ribadendo, come aveva fatto in più occasioni, che lei non era consenziente.
Quanto a Cappiello “Avevamo fatto la scelta di rinvio a giudizio” ha spiegato il suo legale Antonio Voce al termine dell’udienza. “Una scelta prudente: ci aspettavamo questa decisione e riteniamo che il dibattimento sia la sede naturale dove si chiarirà la situazione” prosegue l’avvocato. Il processo ordinario è stato fissato il 21 febbraio del 2023.
“Non ci fa paura il dibattimento – aggiunge – anche se c’è ora una sentenza che ha il valore di un documento non quello di definitività che immagino sarà appellata. Sono due processi paralleli che andranno avanti per la loro strada. Il giudizio fatto oggi – conclude il legale – è sulla base delle carte, nel processo verranno sentiti i testimoni, acquisiti documenti. Speriamo di poter chiarire questa situazione”.
“Spero che gli imputati facciano tesoro di questa condanna, spero costituisca per loro un’occasione di crescita personale utilizzando la notorietà che hanno per diffondere un messaggio non tossico ma a favore del rispetto delle persone”. Ha affermato prima di lasciare l’Aula Claudia Bini, dell’associazione ‘donna chiama donna’ che era parte civile nel processo.