Luigi Bicchi, Quarantotto ore per Casati, Betti, Siena 2019

“Quarantotto ore per Casati ” è, tra i romanzi di Luigi Bicchi, probabilmente il più bello, sicuramente il più compiuto. E lo è, a mio avviso, per almeno tre ragioni: 1) la costruzione-orchestrazione della storia 2) la capacità mimetica 3) la maturità dello stile. Per quanto concerne il primo punto, è sufficiente osservare che due sono le vicende (i casi giudiziari) che impegnano il maresciallo: quella che ruota attorno allo scrittore Alzano Venturi, il cui cadavere, già in stato di decomposizione, viene scoperto in un bosco presso il Castello di Crevole; e quella che vede coinvolta una donna di mezza età, Antonia Giulia Pochesci, uccisa nella sua auto con un’arma da taglio lungo via Sardegna. Due vicende, queste, che sono narrate, raccontate, portate avanti, senza che mai si generi frizione o attrito; piuttosto, esse si snodano con la più grande naturalezza davanti agli occhi del lettore, senza che quest’ultimo venga mai afferrato da un senso di disorientamento. A dominare, piuttosto, è il piacere generato, nella prima storia, dall’assistere al progressivo franare del muro, fatto di bugie e di finti alibi, eretto dal colpevole, nella seconda, dalla scoperta del responsabile dell’efferato delitto e del perché del suo gesto. Per quanto riguarda la “capacità mimetica”, invece, “Quarantotto ore per Casati ” rivela ancora una volta che Bicchi possiede l’arte di soffermarsi con la stessa cura e la stessa serietà tanto sulla scena di un’anziana signora che offre del tè al maresciallo quanto su quelle che descrivono o un delitto o il movimento di una mano, che solleva una botola. È come se, in sostanza, lo sguardo del protagonista – sguardo di chi sa, per esperienza diretta, che anche il dettaglio e l’indizio più minuti possono essere decisivi nel corso di un’indagine – e lo sguardo del narratore, che domina dall’alto le vicende, si sovrapponessero in continuazione, finendo con l’offrire una rappresentazione della realtà – una mimesi appunto – precisa, ampia, in sé perfettamente conclusa. Da ultimo, a determinare la riuscita del romanzo c’è lo stile, mai come in questo caso essenziale nei dialoghi, lirico nei momenti più introspettivi e memoriali, sempre aderente a quella che è la fisionomia (la natura, la cultura, l’estrazione sociale) del personaggio. Ma c’è dell’altro. “Quarantotto ore per Casati ” non è semplicemente un romanzo giallo; è anche un romanzo sociale. Ciò che accade, infatti, ciò che di drammatico, intendo dire, accade nelle quattrocento e più pagine, non lo si potrebbe concepire, né a livello fenomenologico (come avviene) né a livello eziologico (perché avviene), al di fuori di quella che è la società italiana del terzo millennio. Perché se da sempre la violenza caratterizza il vivere comunitario dell’uomo, tuttavia i modi e le ragioni del dare la morte in “Quarantotto ore per Casati ” sono propri esclusivamente di una realtà, quella odierna, nella quale il successo e il denaro sono innalzati al rango di valori, la vita di una persona non conta niente, l’apparire ha sottratto ogni spazio all’essere, il sesso da legame e coinvolgimento è scaduto a link e a mezzo per riempire il vuoto che ci portiamo dentro. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale. Ricordo che Luigi Bicchi giovedì 7 novembre presenterà il suo libro alla Libreria Senese di via di Città.

“Eh sì, l’inverno era proprio finito. Casati ne sentiva ancora qualche eco nelle ossa, ricordo dei tanti appostamenti effettuati con ogni tempo. Sapeva però che tra poco il sole avrebbe curato e rimediato quei movimenti impastati che l’inverno gli donava ogni volta a piene mani. A lui piaceva quella stagione, anzi quella mezza stagione, quando la primavera inizia a farsi estate ma ancora non lo è, il passo si fa più franco, l’aria più tiepida, i vestiti meno pesanti, I nostri vestimenti leggeri, era il verso che più ripeteva in quei giorni, soprattutto la mattina, quando era costretto a cercare con difficoltà qualcosa di più adatto al nuovo clima in attesa che il cambio di stagione nell’armadio, sempre pensato e mai fatto, gli facilitasse il compito di vestirsi. A dire il vero ne amava anche un’altra, quando l’autunno occhieggia all’inverno ma ancora il tepore non ha abbandonato la terra, gli uomini, gli animali e le cose e, tra gli umani di buon gusto, si spande il profumo del pan co’ santi appena sfornato ”.

Francesco Ricci

Luigi Bicchi, Quarantotto ore per Casati, Betti, Siena 2019

 

foto di copertina: Antonio Cinotti