La critica della ragione impura

Riina sì o Riina no? Quando stamani un mio collaboratore mi ha posto la domanda, sono rimasta un attimo in silenzio. E non perché non avessi già in me la risposta ma perché un giovane giornalista che pone la domanda alla persona che ( in maniera immotivata) ritiene il suo mentore, fa riflettere.

Perché le parole sono sassi e a volte anche un commento all’apparenza banale può fare danno. Quasi quanto la puntata di una delle trasmissioni Rai più seguite in assoluto, quel Porta a Porta che da vent’anni entra nelle case degli italiani con uno dei giornalisti più noti d’Italia, Bruno Vespa.

La puntata di ieri sera, per esempio, ha costretto la presidente Rai Monica Maggioni a presenziare oggi per l’audizione in Commissione Antimafia: Bruno Vespa ha ospitato nel suo salotto Salvo Riina, il figlio di Totò. Il figlio del ‘capo dei capi’. E si è scatenata la bufera: gli italiani per mezzo social media  – per tutta la giornata l’indignazione di centinaia di migliaia di utenti ha intasato le pagine Facebook e Twitter – in Parlamento la commissione Antimafia ha convocato i vertici Rai.

205825158-c2567386-321f-40f7-b3a4-8b26a7de4cc2

A dir poco imbarazzante. Soprattutto perché il signor Riina era lì a farsi pubblicità, a parlare del suo libro. Imbarazzante.  Per la Rai ma soprattutto per gli italiani e per i tanti giornalisti che ogni giorno combattono, letteralmente, per fare il proprio lavoro in maniera corretta. E il cazzotto allo stomaco più forte, per la sottoscritta, arriva leggendo i commenti del presidente del Senato Pietro Grasso: “Ha più considerazione lui di me”.

Difficile dargli torto. Eppure vale la pena ricordarlo chi è il presidente Grasso con il suo un passato da magistrato: nato nella Sicilia bella e arsa dal sole, ha condotto per anni a Palermo il suo lavoro, nel periodo in cui la mafia spargeva sangue, tanto sangue. Come Sostituto procuratore del capoluogo siciliano, Grasso fu titolare dell’inchiesta per l’omicidio di Piersanti Mattarella (fratello del presidente della Repubblica) ed è stato giudice a latere nel maxiprocesso alla mafia. Questo giusto per ricordare lo spessore del nostro presidente del Senato e la pesantezza che ha dovuto sentire nel constatare i fatti e, poco dopo, nell’esprimere quella frase lapidaria, oggi. Un significato forte, che scopre il fianco all’usanza dello scoop a tutti i costi che scavalca ogni principio morale e che rende ‘impura’ la ragione, parafrasando l’opera di Kant. Un significato che colpisce ancora di più quando lo pronuncia un uomo di Stato e di Giustizia che tanti suoi colleghi ha visto morire per mano della stessa mafia che oggi, come nel più cinico spettacolo circense, diventa protagonista della cronaca odierna entrando nelle nostre case in modo ancora più subdolo rispetto a quanto quotidianamente gia ci circonda.

Con Grasso, anche la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi che ha riconosciuto ‘messaggi inquietanti’ nelle parole di Riina jr. ha dato una lettura che è quella di un’Italia di poco valore, l’Italietta dello scandalo a tutti i costi che si presta ai giochi di un mafioso, anzi di due: padre e figlio. E questo una tv seria, soprattutto quando si parla dell tv di Stato, non può permetterselo. Sarebbe come dare voce alla follia violenta dei terroristi che, oggi come sempre nella storia è accaduto, fanno proseliti nell’ignoranza, negli individui che non pensano con la propria testa, che non si informano, che non leggono. Salvo poi postare sui social media ‘je suis….’ all’indomani dell’ennesimo attacco terroristico.

Ecco, l’esempio mi pare calzante proprio perché poco più di un anno fa (era febbraio del 2015 e lei era direttore di RaiNews24), Monica Maggioni mi colpì positivamente – di qui la mia enorme stima nei suoi confronti – per la scelta editoriale: “mai più video sui nostri canali sulla violenza dell’Isis, non ci presteremo alla propaganda“. Significativo perché dopo un anno, la presidente Rai è chiamata a relazionare in commissione antimafia per la puntata di Vespa. E ditemi voi, adesso, se questo non è fare ‘propaganda’ alla mafia, dati i contenuti dell’intervista e i diversi dettagli che fanno riflettere, almeno lo spero. E non è buonismo, le notizie sono il mio mestiere e sono abituata a lavorare anche in questioni molto delicate e spiacevoli. Non è buonismo perché è più il cinismo il segno di riconoscimento di un giornalista. È buon senso, piuttosto. Moralità. Quella cosa che ti fa alzare ogni mattina e guardare allo specchio la tua onestà, senza poter mentire a te stesso.

E non è vero che non si può fare niente. In una azienda il presidente o il direttore rispondono delle azioni dei dipendenti. Ne sono responsabili.

Per cui, la mia risposta è: Riina no.

 

Katiuscia Vaselli