Il monastero di San Salvatore a Fontebona: un luogo incantevole e un amore maledetto

A pochi chilometri da Siena, al confine con il comune di Bucine e la provincia di Arezzo vi è un luogo bellissimo che in pochi conoscono ma che dona agli occhi e al cuore del visitatore un vero spettacolo: il monastero di San Salvatore a Fontebona si trova in località Badia Monastero nel comune di Castelnuovo Berardenga sulla sommità collinare a circa 300 metri s.l.m. a poche centinaia di metri da esso vi è il fiume Ombrone, ancora molto piccolo e spesso privo di acqua perché a soli 2 chilometri dalle sue sorgenti. Infatti il suddetto luogo è anche chiamato Abbadia d’Ombrone.
Badia Monastero ricorda l’atto del 15 febbraio 867 con il quale il conte di Siena Winigis e sua moglie Richilda fondarono il monastero femminile dei Santi Salvatore e Alessandro di Fontebuona a Campi, nel 1003 fu rifondata e trasformata in cenobio benedettino maschile dai conti della Berardenga. Dopo un periodo di crisi, l’abbazia nel 1098 entrò a far parte della congregazione dei Camaldolesi e nel XIV secolo iniziò la rapida decadenza come organismo fondiario.


Successivamente il complesso venne unito al monastero di Santa Mustiola a Siena. In seguito alle continue guerre fra Senesi e Fiorentini subì un pesante intervento architettonico di fortificazione del perimetro, come attesta una planimetria disegnata da Baldassarre Peruzzi nei primi del Cinquecento.
Nel XVII secolo, la “Badia a Munistero d’Ombrone” fu sede di un piccolo comune comprendente quindici poderi e una popolazione di ottantasette abitanti.


Durante il secolo seguente, l’arcivescovo di Siena decise di ristrutturare la costruzione, ormai in decadimento, dimezzando di fatto la lunghezza della chiesa e adibendo i locali monastici a villa padronale con drastici rimaneggiamenti, fra cui la distruzione del chiostro.
Dinnanzi alla facciata della chiesa si eleva una torre campanaria a pianta quadrata riferibile al periodo romanico. La torre si caratterizza per l’apertura di monofore e trifore sormontate da archetti pensili, un mix di elementi lombardi filtrati dall’esperienza pisano-lucchese.


La torretta circolare, invece, è una ricostruzione moderna realizzata su una struttura preesistente.
Un’anziana signora che ci ha detto solo di chiamarsi Esterina ci ha raccontato che sul luogo aleggia una leggenda, quella del fantasma di un monaco “cattivo”. Tutto nasce da un’antica storia che vuole, in tempi antichi, un vagabondo affamato bussare alle porte del monastero chiedendo del cibo e un riparo per la notte. I monaci del monastero furono ben felici di accoglierlo e lo trattarono come uno di loro tanto che il vagabondo decise di diventare loro confratello prendendo i voti. La vita del monaco e del monastero procedeva bene finché l’uomo non si innamorò follemente di una contadina del piccolo podere vicino. Un amore sfortunato che diede il via a qualcosa di ancora più tragico: quando i monaci li scoprirono, buttarono in cella l’uomo affinché chiedesse perdono ed espiasse i suoi peccati davanti a Dio, mentre accusarono la donna di stregoneria per aver ammaliato uno di loro.

Alla povera contadina fu data l’ingiusta accusa con la morte. Il monaco, devastato dalla tragica fine dell’amata, decise di offrire l’anima al diavolo per cercare vendetta presso i suoi confratelli. Da allora si susseguirono diverse e strane morti al monastero: la vendetta dell’uomo era iniziata e continuava senza che nessuno osasse opporvisi. Il monastero era circondato da un’aura maligna talmente potente che invase ben presto anche il circondario procurando morte a chiunque si avvicinasse troppo a quel luogo. Dopo l’uccisione della moglie di un nobile, giunto in carrozza a chiedere ospitalità per la notte al convento e riuscito a fuggire sebbene con il cranio fracassato, il monaco demoniaco venne impiccato proprio a una quercia davanti al monastero. La leggenda vuole che, anche dopo l’abbandono del monastero maledetto, il monaco continui a risiedervi e a vagare errante per quei luoghi in cerca del suo amore e terrorizzando chiunque si avvicini al monastero.

Gabriele Ruffoli

(articolo e foto)