Il dragoncello senese: una tradizione che vive di leggenda

I nostri “vecchi” lo definivano “erba dragona”, per via delle presunte proprietà curative contro i morsi di serpenti velenosi: il dragunculus forse fu così chiamato perché a molte persone sembrava di vedere nella forma del suo cespuglio un piccolo drago . E’ noto anche come Estragone o Artemisia per la sua proprietà di ristabilire il flusso mestruale, in onore di Diana Artemide.
Il dragoncello è una pianta di origine sovietica, in particolare della zona siberiana ma ne esiste anche una variante francese.
Venne conosciuto ed apprezzato anche dagli Arabi che contribuirono a portarlo nell’area del Mediterraneo e sono diverse le tesi sulla sua diffusione in Italia: una afferma che arrivò in seguito alle crociate nei pressi di Poggibonsi, l’altra, dice che il dragoncello giunse in Toscana nel 774 al seguito di Carlo Magno, dove fu piantato e coltivato nell’orto dell’Abbazia di S.Antimo dai monaci e fu usato per preparare infusi, medicinali e cibi.
Intorno al 1100, grazie alla creatività gastronomica senese, questa elegante pianta dalle foglie strette fu utilizzata come ingrediente a tavola, ed in particolare per salse e sughi, aggiungendo quindi altre caratteristiche che la tolsero dall’uso esclusivo di medicinale.

Purtroppo sta scomparendo l’antica preparazione senese di una salsa di dragoncello, aglio e mollica imbevuta d’aceto, fatta per accompagnare manzo e pollo lessi.
Non poteva mancare un tocco di leggenda romantica intorno alla storia di questa affascinante pianta aromatica: si racconta infatti che durante l’occupazione napoleonica una bellissima ragazza senese si innamorò perdutamente di un cavaliere dragone, ossia di un soldato a cavallo dell’esercito francese.

Un giorno, scuotendo gli stivali dalla finestra, il cavaliere fece cadere dei semi in un piccolo vaso che la ragazza teneva sul davanzale. Il cavaliere dragone presto dovette ripartire per tornare nella sua terra, ma da quel vaso nacque una pianta profumata che la ragazza chiamò dragoncello, in ricordo dell’amore che aveva vissuto e perduto.

Gabriele Ruffoli