Il 25 aprile a Siena diventa una collezione di figurette

L’impresa non era delle più facili eppure ci sono riusciti tutti, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile: da entrambe le parti sono riusciti a collezionare figurette. La contestazione era nell’aria in tutta Italia, è vero ma ci è bastato quello che è successo a Siena.

Il 25 aprile, forse vale la pena ricordarlo, è il giorno (scelto perché fu l’inizio, nel 1945, della ritirata dei nazisti e fascisti della repubblica di Salò), in cui ogni anno in Italia si celebra la festa della Liberazione dal nazifascismo. Dal 1946, su decisione del governo provvisorio guidato da De Gasperi, il 25 aprile diventò festa nazionale.

Detto questo, appare evidente che il 25 aprile diventa una festa di tutti, della democrazia per la quale migliaia e migliaia di persone hanno lottato e hanno dato la vita. Per la maggior parte di coloro che, come noi (la nostra generazione forse è l’ultima a poterlo ricordare attraverso la memoria orale) sono nati in Toscana e in terra di Siena, i ricordi di guerra sono quelli impressi nella mente dai racconti dei nonni. Il mio nonno paterno, per esempio, fu fatto prigioniero in Albania mentre il mio nonno materno era partigiano e mi raccontava sempre della vita difficile nei boschi e di quando i tedeschi presero un suo cugino sedicenne, gli fecero scavare la buca e ce lo seppellirono vivo. Sono cose che raccontate a una bambina lasciano il segno. Per fortuna, dico oggi, perché è mantenendo vivo tutto questo che si evita di lasciare spazio alle ondate di estremismo (di entrambe le parti).

Ecco, questa parentesi per dire che sono rimasta basita sia delle contestazioni che delle risposte di ieri, durante le celebrazioni di un 25 aprile che per tutti noi oggi significa libertà. Qualcosa che diamo per scontato ma che scontato non lo è affatto, anzi. Dimenticare il passato può solo farci rischiare di perderla, questa libertà.

Ma cosa è successo? In Piazza del Campo, la Rete Antifascista ha iniziato a contestare il sindaco ancora prima che salisse sul palco per il suo discorso, qualcuno ha urlato “avvocato dello stupro” in riferimento a una causa che De Mossi sta seguendo come legale di un presunto colpevole. “Buffone, buffone, fascista!”. Contestazioni del tutto inopportune, oltretutto utili a prestare il fianco agli avversari politici che giustamente non si fanno scappare l’occasione. Contestare durante una festa nazionale il sindaco, autorità democraticamente eletta è oltretutto una contraddizione dell’ideale del quale gli antifascisti si fanno paladini.

Ed ecco che a un certo punto il sindaco De Mossi, per mantenere evidentemente il tenore del ministro Salvini che proprio ieri a Caltanissetta ha dichiarato “i comunisti da difendere come i panda”, ha risposto alla piazza: “Quando fischiava il vento davvero, voi scappavate come lepri, ragazzi miei”. Roba da far accapponare la pelle. Un sindaco, una figura istituzionale non può rispondere e non può farlo comunque con questi toni. Davanti a lui c’era una Piazza del Campo gremita, non solo contestatori ma persone che hanno appunto nella loro storia, nelle loro radici, familiari che hanno dato la vita per darci questa libertà e e stavolta De Mossi, che avrebbe potuto tranquillamente portarsi a casa un bel consenso, ha perso l’occasione per tacere, riuscendo anche lui – proprio come gli antifascisti – nell’impresa di sigillare una figuretta. Hai voglia a sperticarti in dichiarazioni sulla storia… quando rispondi con una frase simile, sei tornato indietro di un giro e senza passare dal ‘via’. Che fine hanno fatto il buon senso e il rispetto della storia, della memoria?

Insomma un 25 aprile da dimenticare, sotto questo aspetto. Ah, a proposito, c’è una perla finale che non vorrei far perdere ai lettori, nonostante il diretto interessato abbia cancellato il post:

Ecco, questo è il post scritto da un consigliere comunale, capogruppo di Fratelli d’Italia, ieri sera. Ora, se la legge Scelba fosse quella originale del 1952, questa sarebbe “apologia del fascismo”, reato con una pena prevista fino a 12 anni. Con la ridefinizione dei contorni della legge nel 1957 (fu chiamata in causa la Corte costituzionale), relativamente al reato fu stabilito che l’apologia si realizza non semplicemente attraverso una “difesa elogiativa” del fascismo. Resta il fatto che il compenso del consigliere comunale deriva da noi cittadini. Auspichiamo che dopo questa perla il sindaco De Mossi prenda le distanze e anche le decisioni opportune.

Katiuscia Vaselli