Albarello: “A Siena è possibile un terremoto come quello del 1798”

Il professor Albarello consiglia alla città di provvedere alla microzonazione sismica del proprio territorio.

Spesso pensiamo che certi eventi tragici possano capitare solo agli altri. Come un terremoto. Vediamo il dolore e la distruzione in persone e in luoghi che non siamo noi e che non sono nostri, quindi non percepiamo la possibilità di poter essere vittime potenziali. Questa incoscienza è pericolosa, perché non attiva l’attitudine alla prevenzione, fondamentale in molti ambiti, specialmente quando si parla di terremoti. Dario Albarello, professore di Geofisica della terra solida all’Università degli Studi di Siena, ci mette in guardia, perché un sisma potrebbe fare danni anche nella provincia di Siena.

Qual è la sismicità del territorio senese?
«Dal punto di vista della normativa sismica tutta l’Italia è a rischio terremoti. La differenza sta nello stabilire se le singole zone sono molto o poco pericolose. La provincia di Siena e la città capoluogo stessa è del tutto simile, come sismicità, a quella parte di pianura padana colpita da un terremoto nel 2012. L’ultimo sisma che ha provocato danni a Siena è quello del 1798, che fece quattro vittime. Quel tipo di terremoto, che ha colpito la città per quattro o cinque volte nella sua storia, è quello che dovremmo aspettarci. E’ un sisma non apocalittico ma in grado di fare molti danni. Bisogna comunque distinguere poi la pericolosità sismica dall’impatto di un terremoto sull’edificato, che dipende anche dalla qualità dei manufatti. Quando questa è scarsa, pure un piccolo sisma può causare tanti danni».

Secondo lei gli edifici della provincia sono generalmente a norma oppure no?
«E’ difficile stabilire a priori la vulnerabilità degli edifici, perché andrebbero fatte delle indagini caso per caso. E’ possibile farle, ma richiedono molto tempo. Sto, per l’appunto, promuovendo

Dario Albarello

Dario Albarello

un’iniziativa per l’Università di Siena che si occupa proprio della vulnerabilità degli edifici. Di una cosa possiamo essere sicuri: gli edifici fatti da un’edilizia “povera” sono più vulnerabili di quelli, anche antichi, fatti con buone risorse. Nel caso del centro storico di Siena, la maggior parte dei palazzi è fatto con materiali da costruzione buoni e con le più avanzate tecniche disponibili al tempo della realizzazione. Invece quasi tutta l’edilizia realizzata dopo la seconda guerra mondiale è scadente, perché fatta in emergenza. Comunque sia, in linea di massima, gli edifici in cemento armato sono più robusti di quelli in pietrame sciolto, molto presenti nelle zone colpite dal sisma del 24 agosto. Un altro elemento da valutare è la condizione del sottosuolo, perché può incidere in maniera decisiva sul livello di pericolosità di una zona. Le carte di microzonazione sismica registrano proprio questo. Siena, ad esempio, ne è sprovvista. Altri comuni della provincia, come San Gimignano, ce l’hanno. Bisognerebbe fare ricerche e studi a lungo termine, ma, purtroppo, ci accorgiamo dei terremoti solo con le catastrofi e quando ne parlano i telegiornali. E’ difficile tenere a lungo l’attenzione delle persone. L’attività di prevenzione va fatta soprattutto quando non ci sono i terremoti».

L’adeguamento degli edifici ai moderni criteri sismici non potrebbe essere anche un volano per l’economia?
«Assolutamente sì. Servirebbero dei meccanismi di detassazione per favorire questo tipo di interventi. Non so fino a che punto il Governo avrà le risorse per incidere in questo senso. La normativa del 2008 prevede già che, in caso di ristrutturazione di un edificio, sia fatto anche l’adeguamento anti-sismico».

Un cittadino come potrebbe verificare, grossolanamente, la buona fattura di un edificio?
«Per prima cosa bisogna distinguere tra edifici in muratura ed edifici in cemento armato, perché sono due mondi completamente diversi. La situazione peggiore è quando ci sono stabili metà in un modo e metà in un altro, come, per esempio, quelle case che hanno solai in cemento armato su strutture portanti in muratura. Negli edifici vecchi bisogna controllare le volte. In quelli di recente costruzione, invece, bisogna verificare quanti cambiamenti in corso d’opera, rispetto al progetto originale, sono stati fatti. Per controllare queste cose ci sono professionisti che possono essere utili al cittadino».

In Italia i terremoti più potenti, come quello del 24 agosto o quello del 2009 a L’Aquila, sono quasi tutti avvenuti lungo la dorsale appenninica. Come mai?
«Gli Appennini sono una zona di intensa deformazione tettonica e sono una catena montuosa abbastanza recente, quindi molto “attiva” e “vivace”. Quando siamo in quei posti è il paesaggio stesso che ci testimonia questa “vitalità”. I terremoti sugli Appennini ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Il problema vero è il grado di adattamento che abbiamo noi a questa realtà. Dobbiamo imparare a convivere con i terremoti. Non sarebbe nemmeno difficile. Come ha detto il vescovo di Rieti sono le case che uccidono le persone, mica i sismi. Se costruissimo bene, se ripristinassimo bene non ci sarebbero problemi».

Emilio Mariotti