Si torna a parlare di separazione tra banche commerciali e banche d’investimento

A distanza di pochi giorni, il tema delle crisi bancarie torna con preponderanza sui mercati, destabilizzando l’assetto di quiete che, negli ultimi anni, aveva caratterizzato il sistema.

Si susseguono le notizie di fallimento della statunitense Silicon Valley Bank, della crisi della banca svizzera Credit Suisse, e di quella della banca tedesca Deutsche Bank. Crisi bancarie derivanti da cause diverse, che prestano il fianco a eventi scatenanti.

La corsa al ritiro dei soldi dal conto corrente, studiata sui libri dell’Università, diventa realtà con uno svuotamento “on line” di 42 miliardi di dollari per la Silicon Valley Bank, in un solo giorno. Cattiva gestione e scandali legati a mafia giapponese, corruzione, cocaina, frodi fiscali, spionaggio, fanno tremare d’improvviso la banca Svizzera e tutto il Paese. L’aumento dei credit default swap di Deutsche Bank, lampadina di potenziale insolvenza, genera il brusco sell-off, quindi il crollo del titolo in borsa. Insomma, eventi diversi, che rimettono in gioco la reputazione del sistema bancario e la paura dei risparmiatori di trovarsi imbrigliati, senza poter riavere indietro il proprio denaro, fanno tornare in discussione il tema della fiducia.

Di conseguenza, scattano le dichiarazioni dei leader europei all’Euro summit per dare rassicurazioni sulla solidità delle banche comunitarie, “caratterizzate da solide posizioni patrimoniali e di liquidità”.

È chiaro che se una banca ha acquistato obbligazioni e si trova a doverle rivendere in massa, dopo il repentino aumento dei tassi, diventa insostenibile restituire ai depositanti il denaro, senza incorrere in perdite.

Per questo, già in America si è tornato a parlare di separazione tra banche che esercitano l’attività creditizia di raccolta del denaro e di esercizio del credito, e banche d’affari che si espongono sui mercati, per evitare che operazioni d’investimento sbagliate si ripercuotano sui risparmiatori.

Il ragionamento non fa una piega in quanto, se le due anime sono fuse, i clienti della banca commerciale, a causa delle perdite di operazioni rischiose della banca d’affari, non si fidano più e ritirano i loro soldi; meccanismo che diventa deleterio creando ulteriori difficoltà e bisogno di nuovo capitale per rispondere ai coefficienti di solvibilità.

Se guardiamo alla storia, pochi anni dopo la terribile crisi del 1929, che volatilizzò i risparmi di molti correntisti, entrò in vigore il Glass Steagall Act, una normativa che proibiva alle banche commerciali di prendere rischio sui mercati, vietando quindi di utilizzare i soldi dei correntisti per operazioni che venivano riservate solo alle banche d’investimento. Tale normativa è stata poi deregolamentata alla fine degli anni ‘90, durante l’amministrazione di Bill Clinton; pertanto, non esiste più separazione, e ciò è vero anche per le banche dell’Unione Europea, che si sono adeguate al modello di banca universale.

La BCE si è dichiarata pronta ad intervenire, in un’eventuale, anche se considerata improbabile, crisi di sistema, per garantire liquidità alle banche, facendo presumere soluzioni a livello centrale.

Ma il bene più importante, la fiducia dei risparmiatori, è labile; per questo tornando la paura, si torna a parlare di bail-in, misura introdotta per gestire i salvataggi bancari dall’interno.

Vedremo se ci sarà la volontà politica di portare sul tavolo l’argomento della separazione bancaria per aprire un confronto nuovo, soluzione che in passato aveva funzionato.

A livello europeo, invece, il dibattito si è spostato sul completamento dell’unione bancaria, cioè sull’applicazione del meccanismo di vigilanza e sull’adozione del meccanismo di risoluzione unico che consentirà la chiusura di una banca nell’arco di un fine settimana.

Maria Luisa Visione