Santa Maria della Scala, dal Cestud ad Opera

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Ho seguito con molta curiosità il dibattito sull’affidamento del Santa Maria della Scala al raggruppamento di imprese guidato da Opera che già gestisce il Duomo e il suo museo.
Per le attività professionali che ho ricoperto all’interno del Comune di Siena, senza soluzione di continuità dalla metà degli anni 90 fino al 2012, ho avuto modo di seguire da vicino, pur senza mai un ruolo da protagonista, tutte le evoluzioni del progetto Santa Maria della Scala.
Ricordo il primo progetto prodotto dal romano Cestud e dai fratelli Covino, sotto l’egida del sindaco Pierluigi Piccini, che puntava su “l’industrializzazione dei beni culturali”. Un termine che mi è sempre sembrato eccessivo parlando di beni culturali e poco calzante anche per un progetto, molto bello, che restava abbastanza aleatorio per quanto riguardava la sua reale sostenibilità finanziaria al netto dei contributi comunali.
Per molti anni, anche dopo la caduta Piccini, con il sindaco Maurizio Cenni, Siena ha cercato di realizzare quel modello senza mai approdare ad una gestione convincente del complesso museale, concentrandosi soprattutto sul recupero delle strutture e sui grandi eventi (dalla grande mostra di Duccio in poi).
Piccini ha sempre sostenuto che il suo progetto era stato così tanto stravolto e banalizzato da non avere più in sé gli elementi minimi per renderlo attuabile. Fatto sta che si arrivò alla fine dell’Istituzione Santa Maria della Scala e alla decisione, assai criticata, di riportare l’intero complesso sotto il controllo diretto del Comune e della direzione Cultura.
Finì così l’autonomia del Sms e cominciò a finire il Centro d’Arte Contemporanea “Le Papesse”, oberato da costi insostenibili per affitti, forniture energetiche, servizi di custodia e sorveglianza, pulizie che incidevano per quasi la metà dell’intero budget. Fu trasferito, insieme al Museo per bambini, negli spazi dell’antico Spedale ma, purtroppo, quelli individuati non erano ancora pronti, né mai lo sono stati. Alla fine “Le Papesse” furono la prima vittima della crisi che iniziava ad attanagliare Siena e il suo comune.
Da lì si è sempre andati avanti un po’ a tentoni, fino alla più volte paventata chiusura dell’intero complesso, scongiurata sempre con soluzioni estemporanee e contributi regionali.
Se non ricordo male, solo tenere aperto il Santa Maria della Scala, senza programmare alcun evento, costa circa 2 milioni di euro solo per riscaldamento, custodia e sorveglianza, pulizie. Il ritorno in termini di incassi dai biglietti era del tutto irrisorio. Restava quindi una forbice di risorse troppo ampia per essere sostenibile dal Comune, privato dei contributi della Fondazione, e per esercitare una funzione non solo di mera conservazione dell’esistente ma di programmazione, promozione, valorizzazione dell’intero complesso.
Dentro questa palude siamo rimasti fino ad oggi. Di tutto ciò che di innovativo era previsto e si era iniziato a realizzare non è rimasto niente o è ridotto ai minimi termini. Penso ai laboratori per l’artigianato artistico, al centro di restauro, lo stesso ruolo della Biblioteca Briganti e del Museo per Bambini. Non solo l’antico Spedale era diventato, forse per la prima volta nella sua storia millenaria, un contenitore vuoto, ricco solo dei suoi capolavori, ma mancava perfino di una sua funzione, di una strategia, di una visione che indicassero cosa potesse essere nel futuro prossimo e lontano e come si inserisse nel tessuto cittadino. Per la prima volta rischiava di diventare un portone chiuso, l’ennesimo fallimento di una città che ha sognato in grande senza verificare di avere le necessarie competenze e le risorse umane, prima che economiche, per realizzare i suoi ambiziosi progetti.
Credo che oggi manchino ancora visione e strategia, anche perché il Santa Maria ha una complessità che fa paura, se lo guardiamo dal punto di vista del fabbisogno finanziario e dei possibili ricavi. L’arrivo di Opera, però, mette qualche punto fermo da dove si può ripartire.
Intanto si è trovato una soluzione per rendere sostenibili i servizi generali, bibliotecari e didattici, di sorveglianza, di biglietteria e portineria, l’organizzazione di eventi, le attività di bookshop, la caffetteria e l’ufficio di informazione e accoglienza turistica. Si è trovato anche un soggetto pronto ad investire risorse (quante e come?) nella promozione complessiva dell’antico Spedale.
Negli anni trascorsi al Comune di Siena, ho avuto modo di portare numerose volte troupe televisive all’interno del Duomo e ho potuto toccare con mano l’organizzazione della nuova gestione e la capacità di innovare l’offerta culturale e turistica.
Di certo non sono mancati gli attriti e le divergenze, le polemiche (probabilmente giuste) sul livello di retribuzione del personale, sull’applicazione a tappeto di ticket e altro, ma sicuramente Opera ha portato a Siena degli standard di gestione che già applicavano alcuni dei complessi museali più famosi al mondo: gli Uffizi e i Musei Vaticani.
Credo che il confronto e la contaminazione con quello che accade intorno a noi e con modelli di successo elaborati altrove, siano sempre fonte di arricchimento. I dati delle presenze al Duomo e al Museo dimostrano che le capacità manageriali di Opera sono reali e che la sua possibilità di sfruttare economie di scala, sinergie con altri poli museali, permette un vantaggio competitivo difficilmente ricreabile da zero nel ridotto di Siena. Perlomeno, fino ad oggi, non ci siamo riusciti pur avendoci provato ed investito soldi pubblici per venti anni.
Questo non vuol dire consegnare le chiavi del Santa Maria ad Opera. Il Comune e la città devono mantenere il ruolo di programmare le attività culturali che si ritengono utili al Santa Maria e a Siena. Abdicare sarebbe l’ennesimo errore di una città che, dopo aver sognato in grande, liquida in fretta e furia il suo patrimonio sul quale ha investito centinaia di milioni (vedi Siena Biotech) per la fifa di non sapere cosa farci.
Opera deve essere uno strumento al servizio della città e del Comune, degli operatori culturali, delle Università per creare i presupposti propedeutici alla rinascita del Santa Maria. Alle istituzioni spetta il compito, invece, di sviluppare una visione, una prospettiva nuova e sostenibile che dia un’identità certa a questo grande complesso facendolo diventare, finalmente, un’opportunità ed un vanto per la città.
Credo che le cose non siano in antitesi ma complementari e gli interessi reciproci.
Poi, magari, smettiamola di trasformare i beni culturali – patrimonio di tutti – in un’arena per confronti e scontri politici e smettiamola anche di cercare sempre l’Azzeccagarbugli di turno, dal curriculum roboante e chilometrico, che viene e ci risolve il problema. Visione e strategia devono necessariamente scaturire da processi inclusivi, partecipativi, condivisi con la città e suoi abitanti. A questo serve, o servirebbe, la politica.

David Taddei