S.O.S. Torre: …reggia, capanna, o nulla?

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Dopo anni ed anni – non tanto di silenzi in merito all’Impianto Disidratazione Isola Tressa  ovvero “Torre Ex IDIT” quanto, piuttosto, del continuare ad ignorare nel concreto una struttura, ben evidente nella sua imponenza, che necessiterebbe alla buon’ora di essere destinata ad una veste ragionevole oppure alla scelta di disfarsene – abbiamo colto nel corso di questa estate l’opportunità di ascoltare alcuni dei maggiori protagonisti fra coloro che di essa continuano, benchè tra le quinte, ad occuparsene intensamente. I pareri che riporteremo, di sicuro fra i più autorevoli sulla materia, sono, nell’ordine dei contatti intrapresi, quelli cortesemente offerti dall’architetto Giovanni Mezzedimi, storico della Torre; dalla Sig.ra Donatella Capresi del FAI (Fondo Ambiente Italiano); dal geometra Moreno Fattoi con la Sig.ra Lucilla Tozzi per conto della sezione senese di Italia Nostra, e dall’assessore all’urbanistica del Comune di Siena Stefano Maggi.

In una breve premessa, per chi non conoscesse la storia di questo ecomostro o ecomonumento che dir si voglia, vediamone le origini. Venne edificato, a fine anni ’50, da una imprenditoria fiorentina nell’ambito di un progetto comunale per l’industrializzazione della zona dell’Arbia. Si pensò ad una fabbrica che producesse pomodori liofilizzati ma non si tenne conto che di lì a poco, con l’arrivo sul mercato dei pelati in lattina, la mega struttura si dovette chiudere diventando ingombrante e potendo solo vantare di    rappresentare, con la sua mole, una fra le costruzioni più ardite al mondo realizzate a metà novecento. Alta 75 metri con 16 di diametro del cilindro, la Torre ha sei piani più un soppalco, dalla cui cima si ammira Siena e tutta la zona dell’Arbia; di contro, è in grado di essere osservata, svettante,  sia dalla città che a 360° in un circondario della profondità di 40 km.

Giovanni Mezzedimi, che su questo capolavoro architettonico ha impiantato la propria tesi di laurea oltre a presentarlo in varie pubblicazioni nazionali ed estere condivise dal semiologo Omar Calabrese e dall’umanista Enzo Tiezzi, sviluppò assieme a costoro un’idea su ciò che si poteva fare a livello culturale della Torre prevedendo per essa l’ipotesi di un “Deposito Organizzato di Arte Contemporanea”. “Una vetrina sul moderno – a detta di Mezzedimi – che è mancante nella Siena medievale e rinascimentale e che verrebbe ben contenuta in un’opera di alta ingegneria per una riqualificazione da interpretare come un utile notevole per il territorio dell’Arbia e per Siena stessa”. “A patto – aggiunge – che finalmente si prendano in considerazione le potenzialità date sia dall’altezza del cilindro come ineguagliabile punto panoramico sia dalle possibilità adatte a farne, nel suo ampio basamento, un polo espositivo o anche un campus universitario, e solo in ultima analisi un centro commerciale”. Quello che il giovane architetto tende però a sottolineare è che, a fronte delle sue ricerche, la Torre stia già presentando qualche crepa alle fondamenta e che pertanto sarebbe opportuno un idoneo accertamento “ai fini di mettere intanto l’Ex IDIT – distante una quarantina di metri dalla Cassia e una manciata dalla ferrovia – in totale sicurezza e quale ne sia la destinazione”.

Donatella Capresi, ricordando la proficua funzione del FAI in una città “in cui basterebbe dare una ‘spolverata’ fra i vicoli per trovare mille tesori da restaurare”, a proposito della Torre sostiene che,  comportando per i necessari controlli un’ovvia messa in recinzione dell’area per lungo tempo, e con conseguenti lavori di deviazioni sia stradali che ferroviarie “allora, tanto varrebbe prendere una decisione seria sui destini dell’Ex IDIT cogliendo l’occasione per fare i lavori veri e propri, ossia quelli occorrenti sia ad interventi di ristrutturazione che a quelli di demolizione. Il vero problema – rileva la delegata FAI – è però dato dai costi, sicuramente esorbitanti per qualunque soluzione si prenda ma che, soprattutto in questi anni difficili per la città, non credo purtroppo che il Comune di Siena possa permettersi”. E questa è la nota dolente. Cui ognuno degli intervistati fa capo, mettendo, al centro di ogni pomo della discordia pro o contro la presenza della Torre, i fallimenti di ogni contrattazione sorta negli anni fra gli imprenditori – che pure vi sono stati in gran numero – e il Comune, per via del reiterato disaccordo sugli elevati costi dell’operazione e con annesse reciproche sconvenienze e lamentati svantaggi sempre sollevati da entrambe le parti.

La prova di ciò, contornata da ulteriori elementi, ce la dà il geometra Moreno Fattoi nel corso di un incontro avvenuto presso la sede cittadina di Italia Nostra. A conferma delle tesi sostenute dai presenti e dalla combattiva delegata Lucilla Tozzi, Fattoi rileva che il silenzio di Siena su un indubbio “caso Torre” è dato dallo scollamento avvenuto nel tempo fra Comune, Provincia, e Regione: “A tutt’oggi, se ai primi due pesano margini di intervento assai minimi è, in assoluto, l’immobilità della Regione a determinare il maggiore impasse al fine della pianificazione dell’area in cui l’Ex IDIT è compresa. Quanto alla struttura in sé, la posizione di Italia Nostra è nettamente favorevole alla sua demolizione poiché un’opera di ristrutturazione su un immobile inutilizzato, che definiamo al pari di un cisternone cui manca l’anima di un vissuto umano, è una forzatura che non renderebbe merito al paesaggio vista l’assenza  di una sua “bellezza oggettiva”, che tale resterebbe comunque: amorfa, fredda e per nulla estetica. Meglio  – conclude Fattoi  – liberare quel territorio da un tale ingombro aprendo la zona a più proficue prospettive per i suoi stessi abitanti”.

Dei vantaggi che invece la Torre a quell’area potrebbe portare oltre alla detta impronta turistico-culturale,   Giovanni Mezzedimi tiene a segnalarne il forte impatto ecologico: “Lo studio che ho effettuato sulla notevole ampiezza del suo cono ha evidenziato la messa in grado di adattarlo a produrre una ventilazione naturale a 18 gradi per 20 mila mq. portandola a soddisfare, e senza alcun dispendio di energia attraverso un sistema di pannellatura fotovoltaica, l’intero quartiere di Isola d’Arbia. Anche da questo punto di vista – afferma – la Torre è un patrimonio da difendere, non certo da togliere di mezzo”.

Decisamente contraria la Tozzi, che appella la Torre in guisa di “insopportabile ecomostro” e,  invocando tempi brevi per l’abbattimento, suggerisce tra il serio ed ii faceto l’idea che, nell’attesa, “almeno la si dimezzi così da cancellarla quel tanto dal panorama e non vederla più da Siena”.

Fermo restando che tutti gli intervistati, in ogni caso, si sono detti concordi sulla necessità di un sollecito sopralluogo affinchè, a fronte delle soluzioni a venire, la struttura sia mantenuta per ora attraverso frequenti monitoraggi volti ad una essenziale sicurezza, abbiamo interpellato chi, rappresentando le istituzioni, è il più qualificato a darci un chiarimento sulla vicenda.

Stefano Maggi, assessore all’Urbanistica del Comune di Siena, non nasconde una certa amarezza nel sentirsi ago della bilancia fra chi avverte il fascino della Torre e chi ne patisce la ripulsa. E fa notare che “se non vi fossero di mezzo costi proibitivi e se i contatti con vari compratori avessero avuto sinora migliore fortuna, da parte del Comune qualche decisione sarebbe stata certamente già presa”.  In una occasione, richiamata anche da Mezzedimi e Fattoi, l’assessore ricorda come al fine della demolizione vi fu tempo addietro un’offerta di abbattimento da parte dell’attuale proprietario dell’immobile, il fiorentino Alessandro Nucci, a patto che il Comune gli concedesse in cambio una lottizzazione di quell’area a fini residenziali “cosa però che per noi – sottolinea – si rivelò del tutto sconveniente”. Proseguendo, in funzione stavolta della riqualificazione della Torre e uniformandosi alle dichiarazioni degli altri intervistati, l’assessore cita quindi la presenza di una legge, la n.65 del 2014, secondo cui “questo tipo di vecchie strutture possono essere soggette a recupero con tuttavia la “messa in eventuale discussione” se si tratti di impianti di natura prettamente industriale ed edificati in zone agricole”. Ed è proprio il caso della Torre. Ma – osserviamo all’assessore – si tratta comunque di una “eventuale messa in discussione”, non di una chiusura, dunque… “Vede – spiega Maggi – devo purtroppo ammettere che la gestione dell’archeologia industriale, quella cioè volta al recupero di manufatti del passato, da noi in Italia non ha mai preso piede. Né i Comuni né le Soprintendenze hanno saputo sopperire ad una cultura in questo senso mancante che, in altri Paesi, prevede nel ramo la presenza consultoria e peritoria di un archeologo industriale. Ed è questo il motivo per cui, condizioni sfavorevoli di progetti e di costi a parte, si sia ancora nel buio assoluto e ristagni ogni previsione a livello urbanistico per decisioni risolutive tanto a favore della ristrutturazione della Torre che verso la sua demolizione”. “Sta di fatto – conclude – che nella speranza di sciogliere presto i nodi del problema trovando al contempo i canali adatti per avanzare  attività produttive in zona Arbia, mi impegno a comunicare all’Ufficio Tecnico del Comune la necessità di effettuare debiti sopralluoghi per verificare il basamento e lo stato della Torre”. Ci lasciamo con la promessa di tali interventi, e con una sua citazione che parrebbe assegnare all’Ex IDIT un barlume di vita (e, se così fosse, la si potrebbe pensare magari con un nome migliore, n.d.r.): “I parigini – racconta Magi – inizialmente perplessi dalla Tour Eiffel, che fu eretta in omaggio alla grandeur nell’esposizione universale del 1889, via via se ne abituarono, ci ripensarono, e fu così che quel mostro di ferraglia, detto “asparago di ferro”, divenne un simbolo imperituro…”. Come, allora, non immaginare ad una Torre tutta rifatta, e splendente di notte, e magari con una cupola azzurrina che facesse da faro ad un passo da Siena? Se ne potrebbe forse installare, lassù in cima, un osservatorio astronomico, tipo piccolo planetario, liberandone la vetta dalle generazioni di piccioni che dal 1957 vi albergano. Forse gli unici, o tra i pochi, a volerla comunque nel tempo rivedere ed anche a costo – sia quel che sia – di trasferirsi su qualche altra, di Torre. Tanto che nel dubbio, alcuni di loro, quando negli anni ’90 vi salimmo, ci parlarono con una lacrimuccia di una strana ma inevitabile idea già in piedi per il futuro: un volo verso nord, in direzione San Gimignano…

Gianni Basi