Montepaschi, ricerca su finanza islamica in Europa e Nord Africa

Banca Montepaschi Siena

La finanza islamica nei Paesi del Golfo ed in Asia è un esempio di successo, ma non così nel Nord Africa. E nel contesto Europeo spicca solo il Regno Unito, vero “financial hub” per la finanza della Mezzaluna. A rivelarlo un’indagine a firma dell’area Pianificazione strategica, research & investor di Banca Monte dei Paschi di Siena. Nello specifico, l’analisisi è basata sulla comparazione tra la profittabilità delle banche islamiche nei paesi “core” (Asia, Medio Oriente) dove, soprattutto nei sistemi bancari misti (come in Malaysia), la finanza islamica sta esprimendo le massime potenzialità in termini di crescita e redditività e i paesi “non core”, come Nord Africa e Europa, dove invece si registrano scarsa penetrazione e bassa redditività dei prodotti e servizi Shari’ah compliant[1].

 

I paesi “core” – L’espansione della finanza islamica in questi paesi è legata sia alla compresenza di banche islamiche e convenzionali (islamic windows), sia dal ruolo di stimolo svolto dalle banche centrali nel promuovere lo sviluppo della regolamentazione, la formazione di figure professionali esperte in Shari’ah compliant e l’educazione finanziaria della clientela. Il settore ha conosciuto una rapida espansione geografica, dal Medio Oriente al Sud-est asiatico all’Europa, con l’emergere di diverse piazze quali potenziali centri regionali e globali di finanza islamica (Malaysia, Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Uae, Qatar). In termini assoluti, nel 2010 in Iran si concentrava circa il 50% dell’industria finanziaria islamica, seguito dall’Arabia Saudita (15%) e dalla Malaysia (9.5%); i sei paesi del Gcc, inclusa l’Arabia Saudita, pesavano per oltre un terzo dell’intera industria.

I paesi non core: focus sul Nord Africa – Nonostante la finanza islamica sia nata in Egitto con la creazione nel 1963 della “Mit Ghamr Saving Bank”, prima banca islamica, essa non ha finora avuto successo nel Nord Africa. Solo il 4,9% degli attivi finanziari in Egitto sono legati alla finanza islamica, appena il 2,2% in Tunisia e l’1,1% in Algeria. In Marocco ed in Libia non ci sono banche islamiche, contro il 100% in Iran, il 61% nei paesi del Golfo ed il 30% in Malaysia. Le ragioni del ritardo dello sviluppo della finanza islamica nei paesi del Nord Africa sono molteplici. I governi locali non hanno mai seriamente supportato lo sviluppo della finanza islamica al contrario dei governi del Golfo e della Malaysia. Altro fattore è la normativa sui prodotti bancari islamici, del tutto assente o insufficiente. I regimi fiscali in molti casi disincentivano la diffusione di prodotti Shari’ah compliant. Particolare rilevanza va data, inoltre, all’assenza di remunerazione dei depositi, che costituisce un fattore di forte svantaggio competitivo nei paesi dove la competizione sulla raccolta è alta, anche a causa della presenza di molte istituzioni europee (importante la presenza delle banche Francesi in Tunisia, Algeria e Marocco).

 

I paesi non core: focus su UK – Solo il Regno Unito è diventato il centro nevralgico dell’espansione della finanza islamica in Europa. L’industria finanziaria islamica è attiva con cinque islamic bank (1 retail e 4 wholesale) e numerose istituzioni finanziarie che offrono prodotti e servizi Shari’ah compliant. I dati evidenziano che, nonostante l’ampia penetrazione, i risultati in termini di profittabilità sono però insoddisfacenti: le maggiori banche islamiche operanti in UK, infatti, a fronte di attivi in costante aumento – pari a circa 1,1 miliardi di sterline- hanno riportato perdite sin dalla loro apertura a questo settore. In termini assoluti, le tre principali banche islamiche nel Regno Unito hanno fatto registrare perdite dal 2008 al 2011 per circa 90 milioni di sterline. La mancanza di un adeguato livello di standardizzazione dei prodotti è spesso citata come serio ostacolo all’espansione del settore. All’origine di tale fenomeno vi è, soprattutto, l’incertezza giuridica che ostacola un riconoscimento univoco e uniforme del fenomeno. Tale incertezza ne restringe i margini di utilizzo, frena l’innovazione finanziaria e costituisce un elemento di svantaggio per la competitività delle banche islamiche rispetto alla concorrenza del settore convenzionale.

 

Il caso italiano – In Italia il fenomeno è pressoché sconosciuto. I musulmani sono circa 1,3 milioni: essi rappresentano circa un terzo degli stranieri residenti e oltre il 2% degli italiani. Attualmente non è presente alcuna banca islamica e l’offerta di prodotti e servizi Shari’ah compliant risulta essere insufficiente a soddisfare la domanda potenziale. Al fine di accompagnare lo sviluppo economico e sociale, l’Italia sta studiando un nuovo strumento – il Mediterranean Parnership Fund (Mpf) – per sostenere il settore privato e le PMI, aperta agli investitori pubblici dei Paesi Europei e extra-Europei, i Paesi della regione Mediterranea e Meridionale, inclusi i fondi di sviluppo interessati, come pure investitori privati con il sostegno delle Ifi (Islamic Financial Institutions) esistenti. La diffusione della finanza islamica in Italia va considerata anche nel contesto della competitività del sistema paese, quale opportunità di business e strumento per migliorare la capacità dell’Italia di attrarre capitali dai mercati del Golfo.