Mi domando se alla fine di questo contagio riusciremo ancora a sorprenderci

Con tutta la bruttezza e l’irruenza che avrebbe potuto avere, il virus è entrato nelle nostre case, mostrandoci dalle dirette della scuola che il divario della disuguaglianza non era solo cifre Istat di un report, ma differenze reali, dalle pareti vuote e dai piccoli angoli per studiare di alcuni a ogni sorta di abbondanza e di benessere di altri.
Questo mi sorprende, ancora dopo anni, dopo migliaia di dati snocciolati: lo sguardo con il quale guardiamo le cose, la capacità che abbiamo di soffermarci e di non abituarci; quando dentro lo stomaco non hai smesso di pensare al perché non abbiamo fatto e non facciamo abbastanza per eliminare un tasso di povertà che era inaccettabile prima dell’emergenza sanitaria, ma che spesso non ci riguardava perché non rappresentava un problema personale.
Le cose sono sempre commisurate agli occhi con i quali le guardiamo.
Nel mio lavoro amo parlare con le persone, sapere da loro cosa arriva, quanto percepiscono e come applicano economia e denaro nella vita quotidiana. Questi occhi per me sono il collante con la realtà, tra quello che si stabilisce a tavolino e diventa normativa e quello che si trasforma in utilità vera.
Ho sempre dedicato tempo, e di più in questi giorni di clausura, all’ascolto. In questo articolo voglio parlare di voi, delle persone che non sono né economisti, né tecnici, ma lavorano, producono, fanno la spesa e che mi hanno riassunto in tre semplici parole preoccupazioni e timori, ma anche speranza e voglia di ripartire.
Le parole sono “tempo”, “liquidità” e “prezzo”. Per quanto possano essere lette in modo separato, sono strettamente collegate tra di loro.
Il tempo è quello velocissimo del lockdown, della chiamata di volontari, personale medico, ospedaliero e di sicurezza, e quello troppo lento tra l’annuncio del Decreto Cura Italia e l’accredito dei soldi in conto corrente alle partite Iva o la cassa integrazione ai dipendenti. Uno scollegamento tra decisioni politiche a carattere di urgenza e realtà che crea adesso molti pensieri agli imprenditori che vorrebbero usufruire del Decreto Liquidità: non sanno ancora quale tempo si frapporrà tra la burocrazia e l’arrivo dei soldi, forse mesi, tempo che per la maggior parte di loro è ossigeno vitale.

Tra questo tempo e il denaro in cassa c’è la parola liquidità. La liquidità necessaria per evitare insoluti, pagare le fatture in scadenza, onorare gli affitti, anticipare gli stipendi; in un’azienda sana che produce, in genere si aggira, per tre mesi, intorno a una buona parte del fatturato dell’anno, diciamo 20%, di vendite, sottolineo, vendite che in questo momento non ci sono. La stessa cosa è in una famiglia, la liquidità dipende dalla fonte di reddito e dalla dimensione delle uscite: il reddito su cui contiamo è uno stipendio fisso e certo, o variabile e incerto? È a nero o è in chiaro? Non è per tutti la stessa barca perché facciamo parte di un sistema che negli ultimi anni ha permesso l’ampliamento della disuguaglianza, non la sua riduzione.
In questo momento le tipologie di spesa sono ridotte, eppure spendiamo molto di più per alcuni prodotti. La nostra liquidità disponibile, indirizzata prevalentemente ai supermercati ha visto i prezzi, la terza parola, ad esempio, della frutta aumentare vertiginosamente. Qual è il motivo?

Per alcuni economisti l’inflazione non è compatibile con un contesto recessivo e di disoccupazione in aumento come quello che si prospetta. Tuttavia, è molto meno semplice di così. Se l’offerta, dovuta al blocco della produzione e di molte filiere intermedie, non riuscirà a far fronte alla domanda, nonostante il calo di entrambe, i prezzi aumenteranno, scenario di stagflazione (disoccupazione + recessione + inflazione). Scenario che nessuno vuole, che comporta l’acuirsi del divario in corso e degli squilibri di classe già esistenti, fino a non escludere problemi di disordine sociale.
Ed è per questo che mi chiedo se alla fine ci sorprenderemo. Non sarà il “mondo che ricordiamo” perché questo virus ha minato le nostre sicurezze. Ma sarà il “mondo che diventerà” quello di cui ci dobbiamo occupare.
Vorrei sorprendermi di ritrovarlo migliore, con meno disparità sociale, con decisioni politiche annunciate oggi e attive da ieri, con il sostegno reale e concreto senza gli occhi della paura, ma lo sguardo dell’azione-reazione istantanea.
Perché il tempo vale ricchezza, la liquidità significa continuità e il prezzo di una guerra che non abbiamo provocato e mai avremmo voluto non deve ricadere sui cittadini, tantomeno sui più fragili.
Diversamente saremo tutti più poveri.

Maria Luisa Visione