La storia dei vincoli contabili

La storia dei vincoli contabili

Per quanto a molti, i più preparati sull’argomento, potrà sembrare ovvio, sono tantissime le persone che ancora non conoscono quali siano le origini dell’ormai famoso 3%, in riferimento al rapporto deficit/PIL. 

La maggior parte delle persone ha appreso che esiste questo vincolo di bilancio che l’Italia non può permettersi di sforare, comprendendo anche che è lì come una spada di Damocle, non sapendo, tuttavia, da dove sia venuto fuori. Ora, dal momento che l’autunno caldo che si prepara economicamente per il nostro Paese, girerà intorno al duello tra conti pubblici da rispettare e economia reale da sostenere, vedi lavoro e pensioni, ritornare alle origini del 3% sul quale l’attività di governo deve rispondere, è il mio modo di far comprendere a che punto siamo e, anche, di ribadire alcune informazioni, senza darle per superate. Perché quando tutto è veloce e ciò che è stato già scritto non fa più notizia, accade che, nella velocità, in molti ci perdiamo e, perdiamo il punto in cui siamo.

Siamo in Francia, anni ’80, epoca Mitterand e deficit balzato da 50 a 95 miliardi di franchi per tener fede alle promesse elettorali. Due esperti di matematica ed economia, Roland de Villepin e Guy Abeille, furono incaricati di elaborare una regola per mettere un freno alla spesa. Fu Guy Abeille che la trovò, come dichiara, arrivando al 3% senza alcuna analisi teorica o scientifica, solo in considerazione delle circostanze, ovvero, quella che sembrava utile a mettere d’accordo l’attività di governo e le richieste di spesa dei ministri. Successivamente, nel 1991 questa regola, sperimentata dalla Francia, diventò un parametro di Maastricht. Osserviamo che, pur se elaborata senza alcun fondamento scientifico, si collocava in questo scenario: livello di indebitamento europeo di circa il 60% del Pil, crescita nominale del 5% e inflazione al 2%. 

Quindi, i 95 miliardi di deficit dell’epoca per la Francia erano di poco al di sotto del 3% del PIL, dichiarato come regola da rispettare e, a detta dell’autore della formula “Faceva molta meno impressione” parlare in termini percentuali, rispetto al numero assoluto che era servito per accontentare gli elettori e che aveva quasi raddoppiato il deficit precedente. Tuttavia, nemmeno successivamente furono condotti studi elaborati, prima di decidere di inserire questa regola come riferimento europeo.

In merito, poi, a un’altra tesi diventata per molti anni verità inconfutabile, quella del debito pubblico come ostacolo alla crescita, uno studente Thomas Herndon nel 2013 smentì la ricerca, basata su calcoli scientifici, di Rogoff e Reinhart che avvalorava l’utilità delle politiche di austerità, dimostrando che i calcoli erano sbagliati, colpa del foglio excel. Lo studio dei due professori di Harvard affermava, proprio grazie a quei calcoli errati, che ridurre il debito pubblico è la strada per tornare alla crescita. Lo studente dimostrò che i Paesi con debito pubblico più alto del 90% erano cresciuti del +2,2% all’anno (meno di quelli con debito pubblico più basso) e non del -0,1%, come avevano stimato i due economisti. Ovvero: non esiste nessun nesso causale certo tra alto debito pubblico e bassa crescita, anche se si possono trovare insieme. 

Se il limite del deficit del 3% è basato sul caso ed i calcoli sulla correlazione tra debito pubblico e crescita, che giustificavano l’utilizzo delle politiche di austerità erano falsati: le scelte di politica economica devono essere funzionali alle vite delle persone o a tali vincoli contabili? Per me la prima, a meno che, non si dimostri che non è vero che qualcuno ha dato i numeri.  

Maria Luisa Visione