La politica monetaria da sola non basta a combattere l’inflazione

Interviene sulle pagine del Sole 24 Ore, in merito alle misure necessarie ad affrontare la complessa situazione economica e finanziaria Stephanie Kelton, economista conosciuta e apprezzata in Italia, autrice del libro “Il mito del deficit”, che ho avuto già modo di citare, essendo un punto di riferimento della Scuola economica MMT (Modern Monetary Theory).

Stephanie Kelton è stata economista capo presso la Commissione Bilancio del Senato USA; tuttora consigliere di Sanders e Biden, è docente di economia e politiche pubbliche della Stiny Brook University. 

Una voce autorevole, dunque, e una donna influente per competenze e capacità. 

È significativo come il suo intervento sia fuori dal coro, esprimendo con semplicità e linearità quanto i fatti stanno dimostrando, ovvero che le politiche monetarie delle Banche Centrali orientate ai tassi di interesse non sono sufficienti, di per sé e da sole, a combattere l’inflazione, quando la stessa ha origine dai prezzi energetici elevati. Lo sguardo deve essere più ampio e considerare altri strumenti strategici, onde evitare la recessione, piuttosto che il rischio di una crisi fiscale, che potrebbe innescarsi a seguito dell’aumento degli spread dei Paesi periferici, quali Italia e Spagna. Infatti, l’aumento degli spread, causato dall’aumento dei tassi di interesse, comporterebbe maggiore spesa pubblica, da cui, però, potrebbero derivare politiche di austerity per contenerla. E la storia ha dimostrato che con l’austerity si ammazza la crescita economica, innescando un circolo vizioso che porta alla recessione.

Secondo la Kelton, ciò che serve è invece una politica di investimenti strategici nei settori della scuola, della sanità, dell’energia. Un’economia funzionale quindi allo sviluppo economico e sostenibile, non invece, un’economia dipendente dal contenimento del deficit, cioè, orientata al rigore dei conti pubblici.

Ma come realizzare gli investimenti senza preoccuparsi del deficit? 

Grazie a politiche fiscali mirate, e l’esempio dell’economista statunitense è lampante: “Nel medio termine, una politica energetica che investa nelle rinnovabili può abbassare il costo dell’energia, così come l’utilizzo dei soldi pubblici da parte dello Stato per calmierare gli affitti, può abbassare nel medio termine l’inflazione senza causare una crisi”. In sostanza, occorre un mix calibrato di politiche fiscali per indirizzare investimenti e contenere i prezzi, non una politica economica e monetaria standardizzata, uguale per tutti.

Di fatto, se l’aumento dei tassi di interesse per combattere l’inflazione ha effetto sugli spread, che si dirigono in salita, l’obiettivo di stabilità della Banca centrale non viene raggiunto, anzi, in ambito europeo si rischia di nuovo una crisi dei debiti sovrani. 

È vero che la BCE ha varato strumenti di contrasto come gli scudi anti-spread, ma dobbiamo ancora vedere se funzioneranno; è chiaro che l’aumento dei tassi pesa su chi deve finanziarsi per investire nell’economia reale.

La Kelton, in sostanza, esprime senza indugi, un pensiero controcorrente. L’intervento dello Stato nell’economia, oggi, è limitato dalle regole comunitarie e per realizzarlo in maniera qualitativa, ovvero sui settori che servono, occorre la leva fiscale, che però, è soggetta all’iter delle leggi di Bilancio, cioè al passaggio, prima, dall’approvazione della Commissione Europea.

L’orientamento dell’economista riflette gli insegnamenti della MMT, e magari, è tempo di studiarli e discuterne in ambito politico.

Maria Luisa Visione