La pandemia getta una pietra tombale sulle regole di bilancio. Almeno per ora

La pandemia impatta anche sull’orientamento della politica monetaria della Banca Centrale Europea da sempre orientata alla stabilità dei prezzi. Dopo anni di paura estrema sul “contagio inflazione” tocca ammettere che in questo quadro economico, con domanda debole e un sottoutilizzo importante della capacità produttiva nei mercati del lavoro e dei beni e servizi, l’inflazione non crescerà affatto, anzi il suo andamento di “bassa” sarà duraturo.

Abbiamo imparato che in questa situazione di incertezza le previsioni economiche vengono fatte nel breve, orizzonte temporale dal quale possiamo aspettarci solo effetti ancora sfavorevoli dovuti al condizionamento dell’andamento dei casi che, nonostante la prospettiva del vaccino (che ha comunque allontanato la concretizzazione di uno scenario più grave), continuano a interessare tutte le economie del mondo. Ecco allora le previsioni dell’Eurosistema: chiusura del 2020 con un calo del PIL in termini reali a livello mondiale, esclusa l’area dell’euro, del 3%. Ripresa successiva nel 2021 con un aumento del 5,8%, espansione del 3,9% nel 2022 e del 3,6% nel 2023. Invece, in Europa, i numeri sono: -7,3% nel 2020, 3,9% nel 2021, 4,2% nel 2022 e 2,1% nel 2023: in sostanza maggior calo e minor recupero del PIL.

La cara inflazione tanto attenzionata si conserva negativa all’inizio del 2021 per poi tornare gradualmente in territorio positivo, ma non aumenterà in maniera significativa né nel medio né nel lungo periodo, anche perché per farlo dovrebbe riprendere davvero la domanda di beni e servizi e i salari dovrebbero avere una pressione al rialzo, ipotesi non realistica allo stato attuale. In cifre per l’inflazione gli esperti dell’Eurosistema indicano: 1% nel 2021, 1,1% nel 2022 e 1,4% nel 2023.

Domanda per tutti: era così male una crescita del PIL reale del 3,7% e un’inflazione del 2,58%? Se non avete ancora individuato di quale anno sto parlando ve lo dico: siamo nel 2000. Da allora in avanti abbiamo avuto bassi tassi di crescita – se non negativi – e inflazione contenuta; non c’è Governo che tenga a eliminare questo andamento, al di là dei proclami. Eppure, fino a un certo punto, prima della crisi finanziaria del 2008, non ci sembrava così male la nostra economia. Questo accade perché gli effetti di lungo periodo si vedono nel lungo periodo. 

Comunque, torniamo a noi, il sostegno alle politiche di bilancio da parte dell’Europa perdurerà fino a quando l’emergenza sanitaria non sarà rientrata. Allo stato dell’arte, in proiezione, nel 2021 i disavanzi di bilancio più alti riguarderanno Spagna, Francia, Italia e Slovacchia: intorno al 7,5%. Mentre, nel 2022 supereranno il famigerato 3% ben 13 Stati membri dell’Area Euro, ma non verranno richiamati all’ordine. Viene sospeso, quindi, l’avvio di qualsiasi procedura di infrazione per disavanzo eccessivo, ritenendo che a causarlo sia stata la pandemia, non il comportamento poco virtuoso del Paese membro in oggetto.

Per il resto tassi di interesse invariati, programmi di riacquisto di Titoli di Stato e di obbligazioni sul mercato aperto da parte della BCE e sostegno alle politiche di finanziamento delle banche, nonché, naturalmente, convergenza del tasso di inflazione verso il 2% di soglia strutturale nel medio-lungo periodo.

L’interpretazione del sostegno ai disavanzi di bilancio sta facendo discutere in molti dal momento che per il singolo Stato, vedi il caso Grecia, non ci sono mai stati sconti in passato. Sembra proprio che il “Whatever il takes di Draghi” abbia trovato soluzione di continuità.

Qualcuno dirà “Menomale, almeno l’incubo dello spread è passato”. Io dico che le regole di bilancio imposte dai Trattati Europei sono state derogate dimostrando che trattasi solo di regole inadeguate.

Maria Luisa Visione