La manifattura italiana è il fiore all’occhiello dell’Europa

Questa volta siamo tra i migliori e diventiamo uno dei principali motori della crescita industriale dell’Eurozona, staccando, nettamente, sia la Germania che la Francia.

Il merito va alla manifattura italiana che si riposiziona in maniera imponente, riassorbendo lo shock e recuperando stabilmente i livelli precedenti l’inizio della pandemia. Non è un risultato di poco conto. Mi capita spesso di parlare con imprenditori che mi raccontano l’ultimo anno e mezzo, tra fatica e sogni, con una tenacia pazzesca. Quest’Italia di cui si parla poco, che non smette mai di avere coraggio, di andare avanti, è per me un esempio di capacità di stare in piedi anche nei momenti più difficili. Capacità di fare la differenza, di riguadagnare quota, di riprendersi posizioni magari perdute.

Perché si arriva ad avere un così bel risultato? Prima di tutto la performance è dovuta alla crescita della domanda interna, +7% di fatturato nazionale. Anche questo aspetto è centrale. Abbiamo vissuto negli ultimi decenni con l’esasperazione di modelli economici competitivi votati all’esportazione, mentre, fattori esogeni ci riportano a rivalutare i consumi interni. In secondo luogo, anche il contributo della manifattura italiana alle esportazioni è interessante: +2,8% di fatturato estero. 

I dati dello studio provengono da Confindustria. C’è da dire che non abbiamo sofferto di quelle strozzature sulla catena del valore che si sono tradotte in mancanza di materiali o in insufficienza di impianti, che, invece hanno penalizzato per gli altri. Continuità nella produzione, quindi, capacità di soddisfare la domanda e tempi di consegna soddisfacenti.

C’è un altro fenomeno che, a mio avviso, è degno di notazione: il rientro della produzione in Italia di forniture precedentemente esternalizzate, il cosiddetto backshoring. Parliamo di un 23% di imprese che hanno deciso di ri-localizzare i fornitori negli ultimi 5 anni; si tratta soprattutto di PMI con alta intensità di esportazione. Significativo, pertanto, il fatto che proprio tali imprese abbiano riportato la produzione in Italia. Due elementi di grande attenzione su tale decisione: l’efficienza operativa italiana che è rimasta attiva e il marchio “made in Italy”, che nel mondo è, e resta sempre, sinonimo di alta qualità. Per quanto riguarda le esportazioni totali europee guadagniamo terreno sull’alimentare e sui metalli. 

Altro aspetto che mi ha colpito leggendo lo studio è che, proprio all’alba dello scoppio dell’emergenza sanitaria, ben due terzi delle imprese italiane con almeno dieci addetti avevano investito in innovazione. Nonostante ancora non si parli di complessità nei processi innovati, spicca l’impegno di queste aziende in attività di ricerca e sviluppo e nell’acquisto di capacità di analisi dei dati. L’aspetto migliorativo è, invece, la presenza di attività di formazione del personale sui progetti innovativi che resta ancora al di sotto del 30%.

Ma, insomma, diamo merito e andiamo fieri della nostra manifattura, che come si dice dà le paste a mezzo mondo. E ci ricorda il valore che abbiamo.

Maria Luisa Visione