La Gassa: l’importanza del capitale umano

LA GASSA È UN NODO MARINARO. FONDAMENTALE PER QUALSIASI AZIONE, UNO DEI PRIMI PRINCIPI DA CONOSCERE QUANDO SI VA IN MARE. NON UN NODO SCORSOIO MA MOLTO RESISTENTE E SEMPLICE COME SEMPLICE E’ QUESTO PUNTO DI VISTA CHE OGNI SETTIMANA ACCOMPAGNERÀ I LETTORI A CAPIRE MOLTO DI QUELLO CHE NON VIENE MAI SPIEGATO.

Luigi Borri

Luigi Borri

L’importanza del capitale umano: perché è necessario ripartire dall’uomo.
Incertezza, instabilità, nebulosità legislativa, disparità sociale: problemi seri, in economia. Il dibattito sui motori dello sviluppo è fervente ma nessuno, al momento, ha trovato un canovaccio, una indicazione, una strada da percorrere per arrivare a dare una risposta su come far ripartire il sistema.
Problemi seri perché la loro presenza non lascia ragionare con la giusta sintesi e quindi determina la presa di decisioni parziali o, peggio ancora, completamente errate.
Su cosa puntare quindi, nel futuro, per poter far riprendere le aziende, l’economia e l’intero sistema Italia?
Una risposta: una sola, a mio avviso.
Puntare sul capitale umano, sulla scuola e, soprattutto, sull’onestà professionale e morale. Questa la base, questi gli strumenti ed valori applicati che, se applicati all’economia (come alla politica, che ha il dovere di governare l’economia, anche se adesso non lo sta facendo) possono favorire uno sbocco all’attuale situazione di impasse.
Il modello di sviluppo (fallito) che ci è stato propugnato negli ultimi venti anni si è basato su false ideologie e sistemi da basso medioevo: costo della manodopera possibilmente azzerato, tutele negate, massificazione dei prodotti, speculazione finanziaria che prevale sull’economia reale: ad oggi tale modello è clamorosamente fallito per cui progettare il futuro con i parametri del passato sarebbe un suicidio.
Disuguaglianza sociale, speculazione, disparità non saranno più parametri attendibili per lo sviluppo e dovranno essere soppiantati da una concezione economica basata sulla ricerca del coinvolgimento e, almeno in parte, sulla redistribuzione della ricchezza e delle conoscenze. A partire dal rapporto fra politica ed economia, fra scuola e mondo del lavoro e fra mondo del lavoro e sistema finanziario rapporti che oggi sono totalmente e tragicamente assenti.
Riallineare la scuola all’economia sarà la prima sfida: la disoccupazione dipende da un disaccordo di fondo fra chi cerca forza lavoro e le abilità offerte da un sistema scolastico-formativo che ha perso contatto col mondo del lavoro. Basta riflettere sul fatto che la disoccupazione giovanile è pari al 40% dei giovani che non siano studenti. Se non viene messa fine a questo equivoco di fondo saremo costretti ad avere una generazione disillusa e scoraggiata, spesso (troppo) bighellone e facile bersaglio di ideologie distruttive ed anti-sistema, che predicano vie d’uscita radicali e illusorie.
Occorrerà poi rimettere in partita e ri-combattere le due grandi battaglie perse dal sistema economico globale.
La prima ha per tema la politica economica globale. Rimettere in discussione cioè il teorema per il quale le imprese italiane devono fronteggiare non solo le singole aziende estere ma interi “sistema/Paese”: primo esempio le economie del Far East.
Ci è stato detto, per anni, che la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro non era un problema per il nostro sistema economico. Niente di più falso: il nostro ‘sistema/Paese’ (governi che si sono succeduti dal 2000 in poi) non ha previsto né facilitato il passaggio di risorse da settori maturi già attaccati dalle economie emergenti ( e quindi in declino) a settori in espansione. Grandi parole, grandi convegni ma nessuna decisione presa. Perché non si è investito sull’uomo e perché le imprese, la scuola e le università sono stata completamente abbandonate a se stesse.

E’ chiaro che in questo contesto servono misure a tutela dei prodotti made in Italy rispetto agli altri: introducendo dazi o limitazioni alle importazioni, se necessario.
La seconda battaglia riguarda l’Europa, la grande incompiuta, che invece di ridurre le distanze, le ha amplificate. L’economia avrebbe dovuto sostituire opportunità a problemi, uguaglianza a disparità e, con le riforma strutturali nei mercati del lavoro e dei prodotti, innalzare i nostri vantaggi competitivi così da poter compensare le perdite sui segmenti a minor valore aggiunto.

Qualche riforma è stata fatta , ma in ritardo e in misura non sufficiente, ed ancora oggi stiamo assistendo a penose “delocalizzazioni intramoenia” ( i call center , gli uffici di servizi e le divisioni “support” delle multinazionali portate nei paesi dell’ex est europeo ne stanno a dimostrare la veridicità). In altri termini meglio lasciar perdere, se non si ha una uguaglianza fiscale, una parificazione del mercato del lavoro ed equità nelle politiche economiche. Anche perché, ad oggi, i sistemi economici di Italia e Romania, per esempio, sono lontani anni luce… E la Brexit lo sta a dimostrare.
Un’ultima riflessione: il lavoro è il lavoro, il non-lavoro è la disoccupazione, la disoccupazione è una tragedia ma il lavoro non equo è il peggiore dei mali.

Luigi Borri