In pensione per scelta, ma non a meno di 67 anni?

Mentre da più parti viene intercettata l’economia della longevità, arriva la notizia – già nell’aria da tempo – che fino alla fine del 2022 non verranno effettuati ulteriori incrementi nella speranza di vita degli Italiani.

In sostanza, la riforma Fornero che aveva introdotto il tema degli adeguamenti facendo crescere, prima ogni 3 anni e poi ogni 2, il requisito di età anagrafica minima per il pensionamento di vecchiaia, portandolo da 66 anni a più di 67, si blocca. Praticamente, non c’è stata variazione dell’aspettativa di vita guardando ai valori registrati nel 2017 e nel 2018 rispetto al 2016 (0,021 decimi di anno).

Ogni anno incontro tante persone che hanno l’esigenza di comprendere la Busta arancione ma che ancora non hanno fatto il primo passo indispensabile di registrarsi sul sito www.inps.it, per accedere alla personale storia contributiva nella sezione MyInps e dare un occhio alla proiezione della pensione futura sul link La mia pensione. Il motivo è che si è reticenti a prendere atto dei numeri, si preferisce procrastinare l’informazione, continuando a percorrere una strada poco utile che chiamerei davvero “Ci penserò domani”.

Vi racconto due storie semplici, quella di Marco, dirigente d’azienda di prima linea con un reddito annuo lordo di oltre 200.000 euro e quella di Serena, libera professionista, con un reddito lordo di circa 65.000 euro. In proiezione Marco andrà in pensione a 69 anni con il 29% dell’ultima retribuzione stimata (tasso di sostituzione) e Serena a 68 anni e 6 mesi con il 37%.

Guardando i dati senza conoscerne l’origine, cioè la storia lavorativa e contributiva, l’interpretazione d’impatto è riduttiva: superano entrambi i 67 anni (questa non è una notizia!) e, dato più allarmante, la differenza di reddito rispetto all’ultima retribuzione stimata è veramente alta. In realtà, però, il reddito di Marco non è stato sempre lo stesso; lavora da circa 20 anni, ma nel primo periodo di attività percepiva molto meno rispetto ad oggi. Invece, Serena, è in attività da ben 19 anni, il suo reddito è cresciuto nel tempo gradualmente, attestandosi negli ultimi 5 anni sul valore inserito in proiezione. In sostanza, in base all’esito, al dato di output, Marco in pensione avrà poco più di 7.000 euro lordi al mese rispetto ai 25.000 di ora, Serena 2.339 rispetto a 6.183.

Conoscere con sufficiente correttezza almeno questi numeri fa riflettere entrambi. Marco vuole anticipare l’età pensionabile, non vuole alcuna forma di previdenza complementare, non vuole riscattare gli anni di laurea, ma è certo di volersi ritirare dal lavoro prima e di voler vivere economicamente bene in futuro. Quindi, ha deciso che “ci penserà lui” nei prossimi 15 anni, avendone la possibilità visto il tenore di vita ben oltre la media delle persone e l’importante capacità di risparmio da accantonare.

Serena, dal suo canto, si accontenta di andare in pensione anticipata secondo lo Stato a 65 anni e 3 mesi con 1.813 euro lordi al mese. Anche Marco potrebbe anticipare di 3 anni percependo 6.000 euro, ma non è ciò che vuole. 

Il focus di questo ragionamento è la percezione personale e la consapevolezza della variabile tempo e del suo utilizzo per raggiungere gli obiettivi personali. Per entrambi ci sono almeno 20 anni di tempo a disposizione, ma sono diversi i progetti di vita. Marco a 60 anni vuole tirare i remi in barca ed è disposto a rinunciare alla sua pensione pubblica fino al tempo dell’età pensionabile minima obbligatoria, mentre Serena, vuole lavorare finché può o, tutto sommato, al massimo, anticipare l’uscita dal lavoro a 65 anni inoltrati.

I nostri due protagonisti hanno affrontato il rischio informativo mettendo un mattoncino importante di conoscenza e consapevolezza alle decisioni finanziarie del presente. E voi?

Maria Luisa Visione