Il caffè sospeso si fa economia circolare: dal carcere di Siena all’orto

Ah, che bellu cafesulon carcere `o sanno fa’. Solo in carcere sanno fare il caffè, cantava Fabrizio de Andrè. E’ proprio questa che ha animato il progetto ‘Caffè sospeso’ a Siena, nell’ambito del quale 200 chili di caffè sono stati donati dai senesi ai detenuti della casa circondariale della città. Una generosità che è il frutto delle offerte mattutine dei senesi che, durante la colazione al bar, hanno donato 1 euro nell’apposito box del progetto, a cui hanno aderito vari bar della città. L’equivalente della somma raccolta, a cui si sono aggiunte alcune donazioni private, è stato donato sotto forma di miscela di caffè per i reclusi. E così, grandi quantità di caffè sono approdate in carcere. Un beneficio importante per i reclusi, molti dei quali non sanno come passare il tempo nelle celle. E che, attraverso il piacere della condivisione del caffè, trascorrono ore liete a chiacchierare. In ogni cella c’è una macchinetta per il caffè espresso. Ogni giorno, sono almeno 3 o 4 i caffè sorseggiati da ciascun recluso. “In carcere si beve il caffè perché un rito – ha detto il direttore della casa circondariale e ideatore del progetto Sergio La Montagna – E’ un modo tradizionale di socializzazione e incontro, anche tra i detenuti di etnie diverse, ognuno dei quali prepara il caffè in modo diverso. Il caffè e’ uno degli alimenti di maggior consumo nelle carceri. La preparazione della moka è un vero e proprio rito di condivisione e di evasione dalla quotidianità della reclusione. In ogni camera detentiva prende corpo una variante della ricetta tradizionale che spesso nasce dalla contaminazione delle varie tradizioni locali: qualcuno assieme alla miscela mette un acino di sale grosso o una fogliolina di menta, quasi tutti preparano una cremina con lo zucchero e la parte di bevanda che inizialmente fuoriesce dalla caffettiera”. Ma non finisce qui. I fondi del caffè non vengono cestinati, ma riutilizzati come fertilizzante in un terreo di una cooperativa agricola dove lavorano i detenuti semilibero. Attraverso la coltivazione di quelle terre, nascono ortaggi che poi vengono donati alla casa circondariale. Un’economia circolare che è il fiore all’occhiello dell’istituto penitenziario senese. “Lavoriamo molto di fantasia – ha detto La Montagna – perché le risorse per l’amministrazione penitenziaria sono pochissime, così noi ci ingegniamo per progetti a costo zero per migliorare le condizioni di vita dei reclusi e creare legami col territorio circostante”.