I BTP vanno a ruba. Perché non se ne offrono abbastanza?

Il consueto appuntamento con le Agenzie di rating per il giudizio sull’affidabilità del nostro Paese si avvicina, ma a differenza di altri anni non suscita particolare preoccupazione, nonostante il debito pubblico sia in costante crescita.

Contraddizioni di un’economia che svela il peso della politica e rileva come il Patto di stabilità, attualmente sospeso, ci abbia lasciato ossigeno almeno per tutto il 2021 e per il 2022, e che la sua introduzione è stata e rimane una decisione politica senza senso.

Fitch e Moody’s si pronunceranno rispettivamente a maggio e a giugno, cioè subito dopo che la matassa Recovery Fund dovrebbe essersi del tutto dipanata con la presentazione del piano, quindi, le due agenzie, potenzialmente, potrebbero migliorare l’attuale giudizio posizionato sull’ultimo gradino dell’investment grade. A livello macroeconomico i due fattori che negli ultimi mesi hanno influenzato positivamente l’andamento dei Titoli di Stato italiani sono stati gli acquisti sul mercato da parte della BCE e i tassi bassi. I primi a sostegno della liquidità e della circolazione dei titoli; i secondi a supporto degli interessi da corrispondere da parte degli Stati, quindi, anche dell’Italia, che si sono ridotti.

Dunque, nonostante la pandemia, nonostante la crescita del debito pubblico, sembrano lontani i tempi da batticuore degli spread, del default e della minaccia di un declassamento, a testimonianza che tutto è sempre e solo una questione politica.

L’amore di noi Italiani per il caro vecchio BTP, che non è mai mancato, si riconferma intatto e rafforzato, pronto ad accogliere il nuovo BTP futura in arrivo il prossimo 19 aprile, pensato per finanziare la ripresa economica e la campagna vaccinale in corso. Il titolo si posiziona su una durata di 16 anni con una stima di rendimento annualizzato complessivo lordo oscillante tra l’1,425% e l’1,675%, simulando i coupon al rialzo previsti durante la durata e l’attribuzione del premio di fedeltà, ovvero, rimanendo nell’investimento fino a scadenza. 

Osserviamo che tutte le emissioni dei BTP degli ultimi periodi hanno fatto il pienone, anzi! Se ci fossero stati maggiori quantitativi avrebbero soddisfatto la richiesta superiore alla domanda. Mentre, i CTZ, legati al tasso variabile, a differenza dei BTP, sono finiti praticamente in soffitta, rifinanziati a marzo scorso proprio con un nuovo tipo di BTP chiamato short term, a cedola fissa e durata breve, compresa tra 18 e 30 mesi.

La riflessione doverosa è che: pur se la durata dei titoli è lunga, pur se i tassi sono lontani da quelli a due cifre degli anni d’oro, i BTP si comprano lo stesso evidenziando un intento di percezione di solidità e nessun afflato con la speculazione. 

La risposta da dare al quesito del perché se la domanda di mercato, anche di quello domestico, di Titoli di Stato a cedola fissa è superiore all’offerta se ne emettono comunque meno diamola in silenzio, con noi stessi.

Le opinioni di ognuno di noi saranno sicuramente diverse e possono trovare differenti motivazioni e spiegazioni sia economiche che finanziarie.

Intanto, vorrei capire con quale coscienza si è permesso che le piccole imprese e i lavoratori autonomi inclusi nel settore delle famiglie, abbiano subito un crollo del valore aggiunto pari a una perdita di 33 miliardi di euro come attesta l’Istat, mettendo a rischio la loro sopravvivenza e il lavoro di molti.

Ma la coscienza, si sa è soggettiva.

Maria Luisa Visione