Economia reale e campagna elettorale

Economia reale e campagna elettorale

Campagna elettorale e economia da sempre camminano insieme. Da una parte ci sono le promesse per il futuro e dall’altra il report del passato. Tra chi sale e chi scende i numeri si alternano inesorabili, vittorie e sconfitte più o meno visibili, a seconda della nostra lente.

Capita che l’approccio sia poco orientato a mettere in luce il percorso fattivo e concreto per raggiungere la meta, declamata a gran voce. Ma, in economia, il gioco non funziona; i conti tornano o non tornano.

Lo scenario che si delinea coinvolge almeno due grandi temi: il lavoro e l’Europa, o, in altri termini, la disoccupazione e la stabilità dei conti. La differenza è che il lavoro si colloca nella sfera dell’economia reale; la stabilità dei conti in quella finanziaria. Il trappolone è che ormai dilaga la convinzione che, senza i conti in ordine, la crescita e, di conseguenza, l’occupazione siano solo una chimera.

I messaggi, però, sono chiari.

L’asse franco-tedesco ribadisce che le priorità immediate dell’Eurozona sono: l’unione bancaria, l’unione dei capitali e la convergenza fiscale. Per una volta l’Italia non risulta l’ultima della classe, anzi, è tra gli Stati membri ad aver ottenuto i migliori risultati nella riduzione della propria quota totale di NPL, di circa un quarto in sostanza, da giugno 2016 a giugno 2017. A via di lettere con la BCE i nostri conti trovano qualche quadra.

 

Meno accade invece con il tema del lavoro, in cui i dati sull’occupazione dell’Italia sono inferiori al 60% su una media UE, Eurostat superiore al 70%. (tra il 70 e l’80% in Germania e oltre l’80% in Svezia).

Ma ciò che è più curioso è che quasi l’82% di noi italiani per cercare impiego si rivolge ancora a parenti ed amici (anche sindacati), dato peggiorato durante la crisi economica, con il calo ponderoso della fiducia nel supporto degli uffici pubblici. Lo stacco con la media UE qui, però, è meno importante di quanto si potrebbe pensare. Infatti la media dell’UE a 28 in base all’ultimo dato disponibile (riferita al secondo trimestre 2017) è al 68,9%. Attenzione, però, la virtuosa Germania è al 38,1% e il Regno Unito a 45,1%.

 

Insomma, chi è alla ricerca di un lavoro in Italia fa poco conto sull’aiuto pubblico.

 

Per tornare al tema, l’evidente stacco tra l’economia reale, i cittadini e i conti finanziari ci accompagnerà almeno fino a marzo. Mentre centinaia di brand made in Italy vengono acquistati da holding straniere (non esente la Toscana) e palazzi storici trovano una nuova casa nei fondi di investimento internazionali, il mercato dei capitali prevale. Ce ne accorgiamo?

 

Si diffondono contemporaneamente due notizie:

  • la prima, che grazie al sostegno dei finanziamenti e delle garanzie della BEI di oltre 10 miliardi sono state sostenute PMI e posti di lavoro;
  • la seconda, che troppi giovani lasciano il nostro Paese per migliori opportunità all’estero.

 

Non ho capito bene, se non c’erano questi finanziamenti, a quanto ammontava la disoccupazione?

 

Se mi è chiaro che l’unione bancaria, l’unione dei capitali e la convergenza fiscale verranno realizzate a tutti i costi, non mi sembra di scorgere la stessa volontà di realizzare l’unione sull’occupazione, eliminando i margini e le forti divergenze esistenti tra i Paesi dell’UE.

 

Del diritto al lavoro per tutti parla la nostra Costituzione.

 

I trattati europei parlano di stabilità finanziaria.

 

Maria Luisa Visione