Cosa non devono fare le banche

A proposito della truffa dei diamanti a carico dei risparmiatori.

Il ruolo del personale direttivo alla luce delle mutazioni in atto nel sistema bancario

Dopo l’iniziativa del tribunale di Milano si pone una riflessione sul ruolo delle Banche dei loro servizi offerti alla clientela. Prenderemo in esame tre mutazioni del sistema bancario che hanno avuto un influsso notevole sul ruolo del personale direttivo bancario.

  • Dal 1960 al 1981, cioè al c.d. divorzio tra il tesoro e la banca d’Italia.
  • Dal 1981 al testo unico bancario del 1993.
  • Dal 2000 ad oggi, passando per la vigilanza unica.

È chiaro che la mutazione di un sistema bancario non procede per salti ma gradualmente, anche se con accelerazioni e frenate. Pur tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno ricorrere alla suddetta artificiosa ripartizione temporale.

Il TUB emanato nel 1993, in sostituzione del precedente, prevede tre distinte modalità operative:

  • Banca universale.
  • Banca a vocazione specialistica.
  • Gruppo bancario.

Il testo unico ribadisce la natura di impresa a prescindere dalla proprietà pubblica o privata. LE finalità ribadite nella legge sono: la concorrenza, l’efficienza, la stabilità e la sana e prudente gestione.

La foresta pietrificata comincia a muoversi sia per aggregazioni, sempre più numerose e ancora in corso (ultime BPER Unipol Banca), sia per nuovi modelli che si stavano imponendo specialmente per banche quotate o desiderose di esserlo.

Dal punto di vista operativo acquistò importanza la gestione del passivo (risparmio gestito), dell’assetto informatico e amministrativo, della Tesoreria a scapito della gestione tradizionale dei crediti. L’istruttoria dei fidi quale si era tramandata, con poche innovazioni, dagli anni ’30 quando fu messa a punto da Mattioli della Comit, subì modifiche sia per l’accertamento decisionale che per il frazionamento della stessa e sia per la gestione dei crediti quale portafoglio unico o settorizzato.

La concorrenza cominciò a mordere e fu spasmodica la ricerca di nuovi modelli che consentissero la razionalizzazione dei costi.

A nostro parere comunque, fino agli ani 2000, il Personale Direttivo aveva ancora un ruolo importante nelle aziende di credito. Era però evidente che al personale era sempre più richiesta una preparazione focalizzata sul rapporto a tutto tondo con la clientela, con ancora buona autonomia sulle condizioni da praticare e autonomie nella gestione del credito. Si incideva sulle competenze quantitative. Gli operatori avevano ancora ampi margini per soddisfare le richieste dei privati e delle piccole aziende.

Erano già operativi programmi informatici idonei a consentire il governo ed i controlli accentrati che affievolivano sempre più il potere dei titolari delle filiali. Nelle grandi banche esistevano già centri decisionali in periferia, filiali capogruppo, attivi soprattutto per i crediti alla clientela dove era ancora richiesta una professionalità più specifica.

La terza mutazione è avvenuta dal nuovo millennio fino alla attualità di gestione degli istituti di credito. Il contesto operativo cambia completamente con l’avvento dell’Euro e della Unione Europea. L’euro contribuisce ad allargare gli orizzonti entro i quali erano abituate ad operare le banche italiane. Anche quelle che si erano spinte oltre i confini, ad eccezione forse di Comit e di BNL, non avevano modificato il proprio modello culturale. Ci riferiamo al Monte dei Paschi ed al S. Paolo e pochi altri che avevano cercato di spaziare in Europa. Un caso a parte è rappresentato da Unicredit che mira a diventare la banca della New Europe e Mittel Europea.

L’impatto principale avvenne nella tesoreria nella quale fu rivoluzionato l’intero impianto. Dal lago Mediterraneo, si passò a navigare in aperto oceano con i salti culturali che possiamo immaginare. Non esistevano più limiti alla provvista internazionale sia da banche che da imprese finanziarie. Questa facilità di provvista, accompagnata dalla normativa del TUB del’93 che consentiva di operare senza vincoli di durata delle operazioni, permise la coniazione di slogan tipo: le filiali devono servire i clienti nelle loro esigenze di depositi/impieghi a breve, medio e lungo termine senza preoccupazioni. La tesoreria avrebbe poi provveduto a rendere compatibili e coerenti i flussi conseguenti neutralizzando il rischio di interesse tramite i derivati e provvedendo piani di emissione di obbligazioni sui mercati finanziari internazionali.

La gestione attiva della banca si faceva ogni giorno più complessa, anche se il tentativo, non sempre riuscito, fu quello di trattenere la complessità presso la Direzione Generale. La rete distributiva fu comunque gravata dalle pressioni sulle vendite e dalla misurazione dei risultati ed era troppo incentrata sul ritorno economico immediato (up front). 

Volendo sintetizzare, l’attività di gestione, all’inizio del 2000, fu guidata da:

  • La normativa BCE e Bankit invasiva e in continua evoluzione; incide sulla Governance, sui capitali minimi necessari e pesantemente sui controlli.
  • La riduzione dei costi, indispensabile per fronteggiare i ridotti margini da interessi; incide sui sistemi informatici sempre più integrati, sugli esodi del personale.
  • La carenza professionale del personale, dovuta ai ridetti esodi accentuati, ai compiti differenziati assegnati spesso senza adeguata preparazione, ad una struttura operativa che stava cambiando velocemente per rispondere alla normativa dei supervisori.

Tutti i campi operativi furono colpiti. Come nuove figure emersero per migliorare la Governance dell’azienda: risk manager, compliance officer i principali.

Le innovazioni del dopo 2000 riguardano la conoscenza delle qualità della clientela, sia prenditrice che depositante. L’utilizzo di questa conoscenza inciderà profondamente sul ruolo del personale direttivo in quanto porterà a centralizzare molte decisioni per renderle omogenee quale identità aziendale.

Da una parte, all’inizio del 2000, era attivo il rating attribuito alla clientela sulle operazioni di credito presso tutte le banche, anche le piccole tramite i centri servizi informatici. Diversa era l’affidabilità; solo per banche grandi che avevano adottato modelli proprietari, la procedura era validata dalla Banca d’Italia ed era idonea a incidere direttamente sull’RWA, cioè sugli impieghi pesati in relazione al rischio creditizio della clientela prenditrice.

L’analisi dei bilanci accentrata presso laboratori fidi, il flusso di ritorno della Centrale Rischi, il rating elaborato a livello centrale, hanno finito per ridurre la discrezionalità valutativa dei direttori di filiale. Di fatto la loro operatività viene limitata a rappresentare le richieste di fido e ad illustrare l’andamento degli affidati negli ultimi mesi; poco più che raccoglitori di informazione. Per inciso il bilancio di esercizio ha assunto un ruolo incisivo nell’esame dell’affidabilità di imprese di qualsiasi dimensione.

Le autonomie dei Titolari, quando presenti, sono state falcidiate, di norma, limitandole all’assistenza creditizia delle famiglie e delle piccole imprese.

Dal lato del risparmio gestito, dopo anni dal piano per i servizi europei, è stata emanata la direttiva europea n. 39 del 2004, che istituiva la MIFID (Markets In Financial Instruments Directive), considerata la base per la costruzione di un mercato finanziario integrato. È stata recepita in Italia nel 2007.

Gli obiettivi di fondo sono:

  • La tutela degli investitori, differenziata a seconda del grado di esperienza finanziaria;
  • L’integrità dei mercati; i prodotti distribuiti alla clientela devono essere valutati in base al rischio e devono essere offerti alla clientela coerentemente alla valutazione della stessa.

Sono state vietate le campagne prodotto e l’azione di sviluppo si può svolgere “solo” invitando gli operatori a collocare prodotti in relazione alle esigenze effettive della clientela, in ragione della propensione al rischio della stessa. Dopo le note vicende delle sei banche, i controlli della CONSOB si sono fatti più invasivi. Anche se evidentemente non proprio sufficienti considerato l’operato delle maggiori banche italiane in ordine alla triste e preoccupante gestione della vendita di diamanti alla clientela.

Il ruolo del personale direttivo si va così divaricando tra i manager della direzione generale che devono ormai avere una visione globale dei mercati e degli obiettivi aziendali per guidare l’azione degli Uffici o Direzioni centrali, e gli uomini di periferia che divengono sempre più esecutori di linee aziendali valutate al centro con scarsa partecipazione e poca professionalità specifica e tutela del consumatore/risparmiatore. Il ruolo dei titolari delle filiali, anche capogruppo, è sempre più spesso relegato a dirigere e sovrintendere il personale addetto alla filiera a cui sono addetti, a fare pressioni per il raggiungimento degli obiettivi assegnati, dirimere eventuali contrasti o incomprensioni con la clientela. Si è lontani dal ruolo imprenditoriale che si sollecitava negli anni passati. Nella nostra personale visione, la tendenza in atto continuerà anche nel futuro, accentrando competenze e responsabilità sempre più nei manager delle direzioni generali. Il personale direttivo nella scala gerarchica dei vari modelli di Filiale sarà sempre più un gestore di uomini con autonomie esecutive nei limiti delle linee operative di budget. Questo spiega la ragione degli ultimi “avvisi di garanzie emessi dal Tribunale di Milano”.

È importante riflettere sul ruolo svolto dal Personale Direttivo negli ultimi anni nelle aziende in difficoltà.

Il bail in può aver inciso sui comportamenti della clientela, accentuando i rischi quando le nubi si avvertono già sotto il cielo aziendale, ma non può essere additato come causa di ciò che è avvenuto. E la conseguenza amare, non la causa. Errori strategici possono essere imputati solo al Consiglio di Amministrazione, in molti casi sappiamo che le cause non sono solo strategiche. La governance, approvata e legittimata dagli statuti aziendali precede funzioni contrapposte con poteri ispettivi coerenti con le responsabilità delegate e con riporto direttamente al CdA, tramite il Comitato Rischi, quando istituito. Eppure, queste previsioni, fortemente volute dalla Banca d’Italia non sono state sufficienti a fermare l’azzardo morale che ha portato le aziende al default.

Le opinioni possono divergere sul fatto che il personale direttivo addetto ai controlli, il risk manager, il responsabile della compliance, i membri dei comitati di rischi endoconsiliari, non fossero in grado di svolgere i compiti loro assegnati per carenze professionali o perché non hanno voluto vedere cosa stesse succedendo. E’ facile dire, visto che le competenze si deve presumere fossero idonee, che avrebbero dovuto dimettersi. Realisticamente ciò è possibile solo se il contesto operativo consente, ragionevolmente, di poter trovare altre occupazioni. Quando ciò non è prevedibile, purtroppo e troppo spesso, il personale direttivo accetta compromessi e questo si ripercuote purtroppo nel giudizio generalizzato sulla categoria.

Questa riflessione più generale trae spunto concreto dall’analisi di un banchiere di lungo corso il Dr. Dino Gronchi ed è aggiornata ai fatti delittuosi venuti solo ieri alla ribalta giudiziaria.

Articolo a cura del Dott. Gianfranco Antognoli e del Dott. Fernando Cruz