Viterbo celebra Santa Rosa e l’architetto della macchina pensa a Siena: “Io, ex parà, sogno di dipingere il Palio”

Il 3 settembre per Viterbo è un giorno speciale. Il tradizionale trasporto della Macchina di Santa Rosa è una delle tante cose di cui va fiera la città. La Macchina (definita così dal latino machina, con il termine che indicava proprio le strutture che venivano messe in movimento dall’azione umana, come ad esempio le macchine da guerra) consiste in una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, alta circa trenta metri e pesante cinque/sei tonnellate. La sera del 3 settembre di ogni anno viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di uomini detti “facchini” scelti tra i cittadini più forti lungo un percorso di poco più di un chilometro che ricorda il trasporto del corpo della Santa effettuato il 4 settembre del 1258 dalla Chiesa in cui era stato sepolto a quella del Monastero delle Clarisse, ove oggi c’è il Santuario. La traslazione del corpo fu voluta da papa Alessandro IV che seguì il corteo con il feretro trasportato da quattro cardinali. Il progettista dell’attuale Macchina è un ex ufficiale della Folgore che ha prestato servizio a Siena al 5° Battaglione paracadutisti “El Alamein” tra il 1989 e il 1990.
Raffaele Ascenzi (nella foto), noto architetto viterbese, è il padre di “Gloria”. Gli abbiamo fatto alcune domande.

 

Ufficiale della Folgore, cosa ricorda della sua esperienza senese?
“Tra il 1989 e il ‘90 ero un giovanissimo Sottotenente del Quinto Battaglione El Alamein, nella XI compagnia ‘Peste’. Ho vissuto nella Folgore uno dei periodi più felici ed esaltanti della mia vita. Avevo 19 anni ed era la prima volta che lasciavo la mia famiglia per spiccare finalmente il volo e non avrei potuto trovare una realtà migliore dove plasmare il mio carattere e prepararmi al futuro con una diversa consapevolezza delle mie potenzialità. Non mi riferisco solamente al duro addestramento fisico principalmente a ciò che il corpo dei Paracadutisti ha saputo forgiare nel mio spirito. Ho condiviso gioia e molto sudore con persone speciali e spesso introvabili che in quel periodo indossavano il mio stesso basco amaranto. A Siena c’era il reparto migliore e mi ritengo veramente fortunato di aver coronato questo mio sogno.”
Ha mai visto il Palio? Cosa ne pensa?
“Un mio amico fraterno è Vieri Mannucci Benincasa di origini senesi e discendente di Santa Caterina e per qualche anno ho avuto la possibilità di vedere con lui il Palio dalle finestre del circolo degli Uniti. Sono affascinato dalla vostra secolare tradizione ed ogni anno ho il desiderio di tornare a vivere queste emozioni.”

Siena una città di arte e cultura dove ha passato un anno, di conseguenza, avrà potuto conoscere a fondo la città e le sue bellezze. In qualche modo questa conoscenza ha influenzato il suo stile?
“Ogni esperienza che facciamo nel nostro percorso formativo si ripropone nelle suggestioni che sono alla base di ogni progetto. Dopo il servizio militare ho svolto gran parte dei miei studi universitari a Firenze dove mi sono laureato in architettura. Posso dire che la Toscana in generale è molto presente nelle mie composizioni.”

Essere stato un paracadutista l’ha aiutata nella sua professione?
“Passati i 50 anni ho sentito il bisogno di segnare la mia pelle con due tatuaggi che ricordano il mio passato nella Folgore, uno è la figura dell’’arcangelo Michele con le ali spiegate e la spada in pugno e l’altro è un fantastico disegno Futurista di Tullio Crali che riprende dall’alto il salto nel vuoto di un paracadutista. Questa figura è ciò che identifica meglio la mia vita di architetto perché assimilo il foglio bianco sul quale impostare un qualsiasi progetto alla vista che si trova davanti il paracadutista quando si aprono le porte dell’aereo. La sfida e il coraggio che ci vuole per affrontarla.”
Per quanto possano essere diverse le due feste, Palio e Trasporto della Macchina,  potrebbero avere qualcosa in comune?
“ L’aria che si respira in città durante le rispettive giornate ha una composizione molto simile e trasforma l’energia dei due centri storici in qualcosa di ancora più potente. Lo spirito dei luoghi si materializza con forza e viene messo a disposizione di tutti coloro che amano queste tradizioni antiche. Il Palio e il trasporto della Macchina di Santa Rosa entrano facilmente negli animi non solo di chi vive queste feste da protagonista, ma anche dei turisti che si avvicinano per la prima volta a queste realtà così sentite.”
Questa è la sua seconda macchina, ieri “Ali di luce” oggi “Gloria” domani?
“Ho sempre voglia di andare avanti con la progettazione e comporre Macchine possibilmente più belle. Tra la prima che ho fatto in occasione della tesi di laurea a Firenze e quest’ultima noto una certa evoluzione che rende questo secondo modello più ‘maturo’ e vicino alla tradizione, in futuro credo che parteciperò al prossimo concorso d’idee e forse potrò vedere la nascita di una terza figlia.”
Un architetto come lei potrebbe voler dipingere il drappellone?
“Sarebbe per me un grandissimo onore… è un po’ che ci penso e mi piacerebbe molto mettermi alla prova.”


Giovanni Graziotti