Vicolo del Viscione: la storia nell’insegna

Sulla sinistra di via di Calzoleria, il vicolo del Viscione la collega con la parallela via delle Donzelle, che a sua volta raccorda via Cecco Angiolieri con Banchi di Sotto. Girolamo Macchici racconta che il vicolo del Viscione prendeva il nome da una taverna che lì si trovava e che, nel Seicento, per insegna aveva la biscia simbolo della famiglia milanese dei Visconti. L’animale rappresentato avrebbe avuto dimensioni ragguardevoli, tanto che i senesi lo chiamavano il “biscione”, da cui la successiva storpiatura “viscione” che ancora caratterizza la strada. Talvolta è stato detto che tale insegna risalga alla fine del Trecento, quando per un brevissimo periodo, dal 1399 al 1404, Siena si sottopose al controllo del potentissimo Gian Galeazzo Visconti; tale ipotesi non è comprovata. Bisogna precisare che molte strade a Siena devono il loro nome alla presenza di taverne, locande, osterie: l’abitudine a far combaciare i nomi delle vie con quelle dei luoghi di sosta e di ristoro è del resto normale in epoche fortemente connotate da analfabetismo e oralità, dove un riferimento visivo in un’insegna (un fiore o un animale ad esempio) serviva ad orientarsi per chi non era del luogo. Anche la parallela via delle Donzelle, del resto ha un’origine simile. Riguardo a via del Viscione sappiamo che un’osteria del Viscione (posta vicino alle Donzelle nella Cura di San Pietro in Banchi) esisteva ancora nel 1741, dato che il 21 agosto vi morì un tal Stefano Offman tedesco della ex Franconia “su le ore otto in punto in età di anni 29 in trenta circa”. Le cronache di questi anni sono ricche di notizie simili, in apparenza aride annotazioni di una scomparsa dalle quali, tuttavia, si possono ricavare preziose informazioni. Ad esempio è sempre difficile conoscere le spese sostenute dai clienti durante le loro soste negli alberghi senesi, sappiamo invece che per questo forestiero furono date “Al Osteria per vitto di due giorni, lume, locanda, e letto e servitù nell’ultimo giorno in tutto lire 2, soldi 3, denari 4”.

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di Maura Martellucci e Roberto Cresti