Via Santa Chiara: da monastero a caserma militare

Via Santa Chiara ricorda le monache di Santa Chiara, abitanti del monastero duecentesco fondato dai Vallombrosani e che, successivamente, passò in mano agli Olivetani, pochi anni prima della soppressione. Dal 1866 in poi, inizia la storia militare del complesso.

Via Santa Chiara è una strada chiusa che si dirama da via dei Pispini all’altezza della fonte omonima. La via perpetua il ricordo delle monache di Santa Chiara che il 28 ottobre 1596 si trasferirono in quest’area prendendo possesso del duecentesco complesso monastico fondato dai Vallombrosani, intitolato ai Santi Giacomo e Filippo e detto dell’Abbadia Nuova. Le monache di Santa Chiara erano state costrette ad abbandonare la loro antica sede fuori Porta Romana, occupata dalle truppe ispanico-fiorentine durante l’assedio di Siena. La vita delle religiose scorre tranquilla nel rione dei futuri Pispini almeno fino all’inizio dell’Ottocento quando il governo francese include il convento fra quelli destinati alla soppressione.

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La strada che porterà alla soppressione comporta, però, un ulteriore passaggio di gestione, avvenuto il 22 luglio 1818 quando vi si insediano i monaci Olivetani ribattezzandolo “ospizio di S. Benedetto in S. Chiara“. Gli Olivetani vi rimangono fino al 7 luglio 1866, data in cui la soppressione diviene definitiva. Da questi anni inizia la storia militare del complesso: dopo il progetto, mai realizzato, di trasformazione in carcere, nel 1872 l’Abbadia Nuova risulta già adattata per ospitare una caserma. Oggi, a parte il chiostro del convento, rimane ben poco dell’antico monastero: la chiesa viene quasi completamente demolita il 2 luglio 1944 quando i tedeschi in fuga la minano e la fanno saltare in aria. Gli unici resti visibili sono ormai solamente due muraglie composte da un basamento in pietra su cui poggia una cortina in laterizio.

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Riguardo alla fisionomia della chiesa con l’arrivo delle monache di Santa Chiara, essendo le clarisse un ordine di clausura, la chiesa originale (probabilmente facciata in laterizio su un basamento in pietra, con un grande occhio centrale e un interno a pianta rettangolare con tre navate con otto pilastri e cinque altari) viene modificata per costruire una la parte distaccata dietro l’altare maggiore (in corrispondenza con l’odierno salone dei ricevimenti del Distretto Militare). Nel tempo anche il presbiterio non è più lo stesso e nel XIX secolo è attestato con tre navate con quattro pilastri e tre altari.

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La facciata della chiesa subisce vari rimaneggiamenti tra la fine del Settecento e il Novecento e facendo una comparazione tra la raffigurazione fatta nella pianta della città di Francesco Vanni (1595), tra i disegni del cronista Girolamo Macchi (inizio XVIII secolo) e le foto di inizio XX secolo, vediamo che le due finestre laterali all’occhio inizialmente mancano e, forse, risalgono alla gestione Olivetana. Per ciò che concerne il convento prima delle trasformazioni cinquecentesche si sviluppa interamente sul lato destro della chiesa; la pianta del Vanni ci dimostra che il chiostro attuale non c’è ancora, così come il pozzo centrale che sappiamo essere del 1603.

Maura Martellucci

Roberto Cresti