Via di Beccheria: l’arte dei macellai, carnaiuoli e beccai

Via di Beccheria unisce Via di Città con Diacceto. Con il termine “Beccheria” si indica, generalmente, la bottega del macellaio, ma anticamente, con la stessa parola, si indicava talvolta anche il luogo stesso in cui avveniva la macellazione. Fin dal medioevo tra le attività più fiorenti troviamo proprio i macellai, detti anche carnaiuoli o beccai. Etimologicamente il toponimo “beccheria” deriva proprio da “beccaio”, che era colui che vendeva la carne di becco, cioè di caprone.
Nella Siena medievale la macellazione avveniva in vari punti della città, ma i cattivi odori e lo sporco conseguenti a questa attività determinarono, nel corso del tempo, l’allontanamento della popolazione alcune aree quali la Stufa Secca e il Mercato Vecchio. Per ovviare a ciò il Comune, alla metà del Quattrocento, emanò un decreto in base al quale la macellazione poteva avvenire solo “nel piano di Fontebranda” o almeno “a ponte Ghiacceti in giù”, quindi lontano dalle abitazioni cittadine.
I macellai, da sempre presenti nella zona di Beccheria, grazie a tale decreto intensificarono notevolmente la loro attività che, nel corso dei secoli, si radicò proprio in questa strada e una lapide, posta sul retro del palazzo dei Rozzi e datata 1486, ne conferma già la presenza.
Il 9 novembre 1763 il granduca di Toscana Pietro Leopoldo emana un motu proprio con il quale stabilisce che la vendita di carne sia concentrata esclusivamente in via di Beccheria, obbligando l’Arte della Lana a sistemare gli edifici retrostanti la propria sede, in modo che possano ospitare le “carnarias tabernas”. Tale disposizione viene attuata immediatamente, come testimonia anche una lapide che ricorda la bottega di macellaio di un tal Giuseppe Romboli aperta il 1 dicembre di quello stesso anno. D’altra parte anche Giovanni Antonio Pecci annota nel “Giornale Sanese” che nel febbraio del 1764 i macellai “hanno principiato a esercitare l’arte loro e aprire botteghe, a tale effetto comodamente adattate”, lungo Beccheria. I vecchi macelli ancora in uso all’epoca fuori da questa area vengono demoliti: il Pecci ne ricorda uno posto nei pressi di San Cristoforo e un altro “accosto” alla chiesa di Santa Maria delle Nevi, ma la stessa fine fecero anche “tutti gl’altri sparsi in diversi posti della città”. Nel 1766-68 l’inchiesta voluta sempre da Pietro Leopoldo per censire arti, mestieri e botteghe a Siena, registra la presenza in Beccheria di nove macelli, tra cui anche uno che vendeva la cosiddetta “mala carne”, ovvero quella di infima qualità, proveniente dalle bestie “morticine” o malate, e perciò molto meno costosa. Soltanto con una legge emanata il 14 giugno 1775 si consentì nuovamente di aprire rivendite di carne macellata in altre zone di Siena.

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di Maura Martellucci e Roberto Cresti