Mariano da Siena: pellegrino in Terrasanta

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Si tende a credere, forse, che il mondo medievale sia un mondo fermo, statico. Un mondo dove gli uomini non conoscendo, non avessero nemmeno il desiderio di conoscere.
Niente di più sbagliato: nel Medioevo gli uomini si spostano più di quanto non immaginiamo, anche per la sola curiosità verso l’ignoto. Ma si viaggia, poi, per lavoro, per commerciare e, logicamente, per motivi religiosi.

Tre sono, nel Medioevo, le strade dei “pellegrinaggi maggiori”, i luoghi più ambiti per compiere il proprio cammino di fede: Santiago de Compostela; Roma, a cui si arriva tramite la via Francigena-Romea; la Terrasanta e Gerusalemme, i luoghi della passione del Cristo.

Facciamo un esempio che ci tocca da vicino perché riguarda un nostro concittadino.
Nel 1431, Mariano da Siena, rettore della parrocchia di San Pietro a Ovile, parte per il suo terzo viaggio proprio in Terrasanta. Mariano ha 47 anni e, forse perché non più giovanissimo e per dividere le difficoltà (e i costi, sempre altissimi, del viaggio), si mette in cammino con il suo maestro spirituale Pietro di Nicolò e con Gaspare di Bartolomeo, cappellano in duomo. Mariano, viste le sue precedenti esperienze, avrebbe fatto loro da guida.

I tre partono da Siena il 9 aprile 1431 a piedi, per la via che conduce a Chiusi e di lì a Perugia, Gubbio, Urbino e Ravenna. Poi arrivano a Venezia (principale punto di imbarco per la Terrasanta, anche se non il solo: ci si imbaca, ad esempio, anche dalla Puglia, da Bari o Barletta), stanno una settimana fermi per riposarsi e prendono il mare. Arrivano al porto di Giaffa il 25 maggio, 46 giorni dopo la partenza da Siena.
Da Giaffa vanno subito a Gerusalemme per spostarsi, dopo, nei centri di pellegrinaggio vicini: Betlemme, Gerico, Betania. Il tutto in un paio di settimane, fino al 7 giugno. Rispetto alle usanze dei pellegrini del tempo la sosta in Terrasanta è davvero breve: forse le risorse economiche non consentono di più, forse sopraggiungono altri problemi, ma questo Mariano non ce lo racconta. Comunque il 7 giugno ripartono in nave e arrivano in Puglia il 12 luglio.

Mariano e i suoi amici, al ritorno, compiono una importante deviazione: prima di rientrare in Toscana vanno a San Michele del Gargano, altra importante meta di pellegrinaggio. Da qui, attraverso il Molise, l’Abruzzo e poi l’Umbria e la Val d’Orcia, lungo il percorso “classico” della Francigena, rimettono piede a Siena il 4 agosto. In meno di 4 mesi di viaggio, avranno coperto (fra mare e terra) un itinerario di circa 5.000 miglia.

Mariano ci lascia un resoconto avvincente e particolareggiato di questa sua terza esperienza, a partire dalle difficoltà. I viaggi in mare (ma anche quelli via terra, del resto) portano grandi insidie e, dice, i “mali di stomacho intollerabili” dovuti al mal di mare sono il meno. Racconta che in occasione del suo primo viaggio la nave subisce ben due attacchi dai corsari che rubano solo un po’ di carico senza fare di peggio proprio “per amore de’ pellegrini” che erano a bordo.
Nel descrivere i luoghi che visita il problema è far capire a coloro che leggeranno i suoi scritti come sono i paesaggi, le città, le chiese di questo mondo lontano, per cui usa paragoni che richiamano le cose di casa nostra: a Gerusalemme dice di aver visto una colonna fatta di pietra grossa “di chorore chome quella ch’è alle schalelle del Duomo di Siena”, mentre la chiesa di Santa Maria della Visitazione, vicina a Betlemme, gli appare come “una bellixima chiesa tonda chome sancto Yohanni di Firenze, un pocho più grande”.

E questo sistema di paragone è utilizzato un po’ da tutti i narratori di viaggi: nel 1381, il fiorentino Simone Sigoli scrive che Gerusalemme è grande come Pistoia. Poi si corregge (magari pensa di non rendergli giustizia): no, forse un pochino più grande.

Mariano da Siena non si limita solo a descrivere i luoghi santi, ma descrive anche l’ambiente e le persone che incontra, così il suo scritto è, ancora oggi, una testimonianza sia dello spirito religioso di un uomo del Quattrocento, sia un prezioso reportage sul Medio-Oriente e la sua gente. Di Mariano non si trovano praticamente ulteriori notizie (tranne pochissime e insignificanti) che ci facciano capire che cosa abbia fatto dopo il ritorno e quando sia morto. Resta il rammarico che, nella nostra città, solo pochi specialisti di storia del pellegrinaggio o della religiosità, conoscano questa figura di viaggiatore, di eccellente scrittore e, verrebbe quasi da dire, di proto-antropologo.

di Roberto Cresti e Maura Martellucci