Sbagliare è umano, perseverare… (riflessione sui tempi del Coronavirus)

Non torneremo proprio come prima. No. Il dopo, il futuro , non può essere uguale al tempo presente. E neanche al tempo passato. Ieri, oggi, e domani, non sono poi la stessa cosa. E anche noi umani saremo modificati. Io spero proprio che saremo, dopo, almeno un po’ cambiati, diversi. Se questa del carogna virus è una malattia, contagiosa, pericolosa, talvolta mortale. E sicuramente lo è, secondo scienza, ed esperienza. E se così stanno le cose, allora questo morbo, dovrebbe lasciare nei sopravvissuti, nei contagiati, negli immunizzati, negli illesi, almeno qualcosa. Qualcosa di utile. Sarà l’immunità di gregge, come dicono tutti. O almeno quella personale, come sperano gli egoisti. Riprenderemo le abitudini di prima ? Oppure saremo cambiati per sempre ? Se “that is the question“, come direbbe qualcuno che non si può dimenticare, io molto semplicemente risponderei NO. Non sarà più TUTTO COME PRIMA. O almeno, io mi auguro di NO, vorrei di NO, voterei NO. Avremo anche il vaccino contro questo virus. Certo, e speriamo presto. Quindi dopo esserci vaccinati tutti quanti, i sei o sette miliardi di umani, che siamo, che sarà di noi ? Tutti a posto quindi ? Tutto a posto ? Sicuramente si sentiranno meglio, quelli che produrranno il vaccino. Come al solito saranno i cinesi, se il vaccino sarà a basso costo. Data la quantità richiesta. Ma anche gli indiani, forse. O altre industrie sempre dell’Est, dell’estremo oriente. Da dove poi il virus è arrivato, come tante altre volte nei tempi andati. Ma se noi umani non cambiassimo, neanche dopo questa esperienza, questo rischio di morte, questo isolamento, questa carestia, questa povertà, sarebbe proprio un pessimo risultato. Sarebbe proprio una delle solite e classiche “ripartenze”. Come si dice oggi, quando si vuole instupidire chi ascolta, o chi legge, o soprattutto chi vede, alla tv. E molto spesso ci si riesce, in tv, a instupidire. Tant’è vero che questa parola ri-qualcosa è, si sa, virale. E i contagi, da parte dei virus, si scopre oggi sempre di più, non hanno confini. Ri-partiamo, è il mezzo e anche il messaggio, siamo tutti oggi ri-partiti, più o meno, o forse soltanto -partiti. Partiti si, ma di testa.

Continuare come prima, continuare a ripetersi, continuare a sbagliare – se si ha il coraggio di riflettere, confrontarsi, e capire dai propri errori – non è certo consigliabile. Lo dicevano i saggi fin dai tempi antichi.

“Errare humanun est, perseverare autem diabolicum”. L’errare è parte della natura umana. Questo, però, non può essere inteso come un’attenuante di responsabilità. Non è un via libera a reiterare lo sbaglio, quanto piuttosto un mezzo per imparare dall’esperienza. Sembra se lo sia inventato per primo Lucio Anneo Seneca, ma l’hanno rilanciato Cicerone, Livio, San Gerolamo, e soprattutto Sant’Agostino. Che l’ha reso immortale.
In tempi più moderni questa pillola di saggezza è stata resa popolare (virale), da un cane assai colto saggio, di nome Snoopy. Dotto di saperi antichi, che lui usava per fronteggiare la sua “peste” personale. Nota come Lucy van Pelt, e più semplicemente Lucy, che lui fronteggiava per quanto possibile, anche aggrappandosi ai romani, di un tempo. Che credevano nei messaggi-ni, incisi su pietra. Snoopy distillava i suoi pensieri picchiettando, tasto dopo tasto, sulla macchina da scrivere.

Che non tutto ai nostri tempi, vada nel modo migliore, è opinione piuttosto diffusa. Ancor prima del Corona Virus. Non solo qui da noi, in Italia. Ma anche in tante altre parti del mondo. Va male, talvolta molto male, all’interno di paesi poveri, del terzo mondo. Anche in quelli più ricchi, dove senza carta di credito si viene allontanati, dal Pronto Soccorso, dall’Ospedale. E così sia. E poi ci sono i confini, barriere, muraglie, fiumi, mari nostri, o vostri. Limiti inaccessibili e invalicabili. Dove molti si ammassano. E di qua e di là del confine nascono ghetti, per quelli che riescono ad arrivarci. E sopravvivono, appena, e si ammalano spesso. Dentro questi campi, villaggi, baraccopoli, di concentramento. Dove si concentra l’umanità più povera, che fugge il passato, ma non trova un futuro. E vive un eterno rancido, puzzolente e invivibile presente.

Il muro che divide, separa, chiude, impedisce, blocca, era quarant’anni fa il titolo di un disco, leggendario, simbolo di rivolta e di resurrezione per i giovani di allora, di tutto in mondo. The wall. Il sessantotto era anche l’anno, per noi in Italia, delle rivolte e delle rivoluzioni. E anche nel resto del mondo. Iniziarono allora, nel nostro cortile di casa, attentati, morti, processi. Sempre figli del sessantotto. L’ultimo anno per noi, in cui riforme e diritti, delle donne e degli uomini, degli ultimi e degli emarginati, dettero i frutti migliori. E anche il servizio sanitario nazionale. Oggi un po’ impoverito. Dove chi ci lavora dà il massimo del possibile, ed anche di più. E va proprio ringraziato.
The wall quarant’anni fa era un’opera rock, un album pieno di canzoni, di traumi, di rabbia, di nostalgia per l’infanzia negata. Maltrattata, abbandonata, affamata di affetti perduti. Era la storia, il racconto, di un ragazzo che a causa di una serie di traumi psicologici, arriva a costruirsi un “muro” mentale, attorno ai propri sentimenti dietro al quale si isola. Parlava dei “muri” che esistono tra gli esseri umani, a livello personale, e a livello globale. Un muro che lui allora, buttava giù. Ma non tutti i muri, sono da buttar giù.
I muri, le pareti, le facciate sono di molti tipi, hanno differenti significati, testimoniano valori diversi. Sono dei limiti, delle separazioni, delle frontiere. C’è il dentro e il fuori, il prima e il dopo, il noi e il loro, l’uguale e il diverso, il buono e il cattivo, e così via quasi all’infinito. Non c’è una fine, quando si inizia a pensare in questo modo.

Ma i muri, le pareti, le facciate sono anche delle testimonianze, delle rappresentazioni, dei simboli. Questo soprattutto era, ed è, il Facciatone del Duomo di Siena. Un simbolo.


Il sogno di un Duomo più grande, il desiderio di una testimonianza degna di una grande ricchezza. In sintonia con le altre e numerose realtà di una bellezza e di un’arte immortali, fu infranto dalla peste, nel 1348. Il Facciatone è rimasto, è sopravvissuto, incompiuto. E’ diventato il simbolo più importante contro ogni tipo di avversità, allora o anche oggi, sconosciuta. E ai tempi nostri, per ben tre anni a partire dal 2016, ha potuto rappresentare la Divina Bellezza. Un viaggio nella storia, nelle tradizioni, nei valori di Siena. Di un ideale anche oggi necessario, che l’esperienza del coronavirus rende ancor più necessario e fondamentale. I valori dell’etica, e quelli del buon governo. Insieme. La Concordia, e il Buon Governo devono rinascere. Su basi del tutto nuove. Per salvarci, per rinascere veramente, per cambiare.

Costante Vasconetto