San Giovanni delle streghe: alle origini della festa di inizio estate

Sì lo so: siete qui che smadonnate perché fa un caldo africano; ancora non avete nemmeno finito di decidere  dove andrete in vacanza; le pinne e il salvagente non riuscite a ricordare ‘ndo’ l’avete infilati, po’ po’ di broccioni, e ora a Follonica li dovrete ricomprare; siete a culo stretto perché, fra una decina di giorni appena, il primo dei due Palii sarà bell’andato; avete da poco fatto il cambio stagionale degli armadi e, anzi, v’è rimasto fuori un par di maglioni che vi siete scordati di sistemare.

Ecco, lasciateli lì perché fra poco è inverno.

Siamo allo zenit del corso del sole, belli miei, e da ora le giornate cominciano ad accorciare. Per ora non ve ne accorgete, ma hai voglia se accorciano. Del resto, i vecchi avevano ragione: l’ultimo mortaretto d’agosto profuma di buristo.

Giugno è il mese della maturazione dell’anno: per i latini (che infatti l’avevano dedicato a Giunone: Juno) è il mese della prosperità, ma anche altre culture condividono questo concetto. I native americans Lakota definiscono questo mese come il periodo della luna che ingrassa; poco diversamente dai Chippewa per i quali giugno è dedicato alla luna della fioritura. Nelle allegorie medievali, non è raro vedere simboleggiato il sesto mese dell’anno con un giovane che tosa un montone.

A giugno, si sa,  cade il solstizio d’estate: il sole, secondo le antiche credenze, si sposa con la luna e comincia a “morire”. Naturalmente, come in ogni momento “catastrofico” del ciclo calendariale, il momento va celebrato e la catastrofe va scongiurata con la ritualità e addomesticata con il sacrificio e l’offerta. Virgilio ci ricorda che in questa stagione si tenevano le cerimonie degli ambarvali (alla lettera: andare in processione percorrendo per tre volte il giro dei campi) con sacrifici in onore di Cerere dea delle messi. In Amazzonia, in questi giorni, si festeggiava, già prima dell’arrivo degli europei, anche qui il sole.

Si apre, così, di nuovo, una delle numerose porte che connettono i sovramondo degli uomini con quella infernale degli dei (boja! Il calendario folklorico ha più porte di un albergo: non s’è fatto pari a trovarle da quando s’è cominciato questo viaggio nelle credenze e nell’antropologia, lo scorso autunno). Il Cristianesimo addomestica tutta questa materia e la ricompone sotto il segno del santo forse più importante di tutti: Giovanni il Battista. Si noti che, insieme a Gesù Cristo e alla Madonna, questo è l’unico personaggio della nostra cultura religiosa del quale si celebri, oltre al giorno della morte (il 29 agosto), anche quello della nascita, il 24 giugno. La coincidenza con i giorni del solstizio non è casuale, o, almeno, intorno a questa data è stato costruito un significativo cortocircuito culturale. Battezzando Gesù, infatti, Giovanni, circondato dalla fama di profeta (per inciso: la sua figura è anche nel Corano, con il nome di Yaḥyā  ed è considerato uno dei massimi profeti prima di Maometto), annuncia “io sono il sole che muore; costui è il sole che nasce”. Così, il legame sole-Giovanni viene, in qualche modo, santificato dalle stesse Scritture.

In realtà, il solstizio d’estate precede di qualche giorno la festa del Battista (è il 21 giugno e quest’anno, per chi lo vuol sapere, si è verificato alle 6.24 di questo giorno) ma  la figura di San Giovanni ha finito per fagocitare l’aspetto astronomico, tanto che addirittura fra i musulmani berberi dell’Africa Settentrionale il 24 giugno è il giorno di ànsara, in cui si accendono fuochi nei campi per aiutare il sole a tornare a splendere (e si noti l’eccezionalità del rito: il calendario islamico è lunare, non solare), non diversamente da quello che succede in tutto il resto dell’occidente che vede punteggiare la notte della vigilia (il 23 giugno) di falò propiziatori accesi per impetrare l’aiuto di San Giovanni a  richiamare in vita il sole e a difesa dei coltivi.

I fuochi, dunque, sono la prima e più importante caratterizzazione folklorica di questa: la sera del 23 vedrete (vedreste: là dove la tradizione è rimasta) fiammeggiare i campi in Italia, in Irlanda, in Russia, Spagna, Austria, Svezia, Germania. In Italia settentrionale la tradizione della Val Camonica ricollega i falò ai riti celtici e in Friuli il lancio delle rotelline infuocate (les cidulis) contrappunta questo vero e proprio capodanno agrario che, come tale, deve essere adeguatamente solennizzato. Infatti, come tutti i capodanni non manca, anche in quest’occasione, l’aspetto della trasgressione e dell’inversione dell’ordine: a Roma, un editto del 1753 vietava che per San Giovanni si tenessero feste per strada e un rescritto del cardinal vicario Marco Aurelio Colonna ribadiva la proibizione due anni dopo, nel 1755, ordinando che per San Giovanni si tenessero chiuse tutte le bettole. Con scarso successo, si direbbe, se il governo italiano, nel 1872,  vieta nella neo-capitale lo svolgimento delle feste popolari di inizio estate.

Del resto, i divieti servono a poco. La notte della vigilia, con il suo aspetto di tempo fuori del tempo ordinario, è una notte di portenti che coinvolge in una dimensione sacrale tutto il cosmo: il fuoco è sacro, l’acqua è magica. Rotolarsi nell’erba bagnata dalla rugiada della notte del 23 purifica il corpo e favorisce la fertilità (nel Nord Europa le donne che desideravano rimanere incinta si sedevano con le parti genitali a contatto con le zolle umide… sì, ci sono altri metodi: poi glielo spieghiamo in privato) e chi si lava al mattino con l’acqua della notte di San Giovanni godrà di buona salute tutto l’anno. Anche perché l’acqua della notte del 23 è l’unica che non può essere intossicata dalle streghe… O che c’entrano ora le streghe? Altroché, se c’entrano. State a sentire.

Secondo la storia sacra, Giovanni era stato imprigionato da Erode (Erode Antipa, non quello ammazzacittini: Giovanni muore prima del 40 d.C., quanto lo volete far campare quel bieco figuro della Strage degli Innocenti?) ed era profondamente odiato da Erodiade,  sua cognata che, ripudiato il marito, conviveva con il fratello di esso (appunto: Erode) in un rapporto non proprio esemplare: non si può parlare di incesto, ma a Giovanni quel concubinato non gli andava proprio giù e aveva fatto il diavolo a quattro contro i due regali porcelloni. L’esito è noto a tutti: su istigazione di Erodiade, la figlia di lei, Salomè, si produce nella famosa e famigerata danza dei sette veli, alla fine della quale resta gnuda come mamma l’aveva fatta, davanti al libidinoso zio il quale, eccitato più di un mandrillo, promette alla nipotina, come premio quello che lei stessa avesse chiesto. Portami la testa del Battista su un piatto d’argento, chiede la zozzetta. Ed Erode, che ha speso la parola, deve acconsentire.

Secondo alcune versioni folkloriche, quella di Erodiade sarebbe stata una vendetta perché, invaghita del sant’uomo, ne aveva ricevuto in cambio uno sprezzante e probo rifiuto. Come che sia, dice la leggenda, al momento in cui le viene portata davanti la testa mozzata del profeta, Erodiade, in pieno pentimento, cerca di baciarla, ma dalla bocca del morto si leva un turbine che spazza nel cielo la principessa e la figlia, da questo momento assunte al rango di streghe. La notte del 23, secondo la tradizione, si ripete il fatto nella realtà, e Erodiade, Salomè e tutte le altre streghe (contro le quali si usa l’aglio che, infatti, dovrebbe essere raccolto in questa notte) sono costrette a riddare in aria fino all’alba senza poter mettere piede in terra. E senza, pertanto, contaminare la natura.

Per questo l’acqua della notte di San Giovanni è benedetta (si usava – io, non per convinzione religiosa, ma in onore alla tradizione folklorica, lo faccio ancora – mettere fuori l’acqua a “serenare” in una bacinella per raccoglierla la mattina dopo e tenerla per tutto l’anno), così come sono benedette molte erbe che, in questa notte si raccolgono. Le donne che vogliono trovare il vero amore, in questa vigilia devono andare a cogliere l’iperico (hypericum performatum) e poi metterlo nell’acqua con la quale si laveranno il viso la mattina del 24 (occhio, citte, che se ci pesco qualche amica o conoscente che so essere sposata o fidanzata la porto per bocca, eh!).

In realtà, questo è il momento in cui le erbe curative vivono il momento di massima efficacia, e quindi, oltre all’iperico per chiappare il trombìno giusto, nella stessa notte si raccolgono anche ginestre ed erbe aromatiche. Se a mezzanotte cogliete la verbena (no, non in Piazza del Campo, dove nasce solo nella canzoncina, duri! Andatela a cercare dove attecchisce davvero) essa vi proteggerà dai fulmini, e (almeno a quel che dicono in Bretagna) se fate un bel fascio di erica riuscirete a sapere i segreti dell’aldilà ma occhio! Rischiate di essere rapiti dalle fate. Ne vale la pena? L’importante è che le erbe siano colte con una particolare ritualità, con una sola mano e usando solo le dita “medicinali”, cioè il pollice e l’anulare della mano destra. Se volete usare strumenti, mi raccomando che essi non siano di ferro (materiale che annulla le virtù vegetali) ma di bronzo, o argento o, meglio di tutti, d’oro.

Se a mezzanotte cogliete, dalla felce, il “fiore di San Giovanni”, questo vi proteggerà dai demoni. No, non state a perder tempo: è un’invenzione folklorica; non esiste niente del genere, tuttavia,  se vi trovate dalle parti di Nuoro, potete cercare la “rosa di San Giovanni” che resta in boccio solo dalla sera della vigilia alla mattina e che è custodita dai demoni. Buona fortuna.

Rientra in questo coinvolgimento sacrale del mondo vegetale anche la raccolta delle noci verdi per fare il liquore conosciuto, appunto, come nocino. Il rito è presente già nella cultura celtica pre-cristiana e non si limita a interessare i ghiotti estimatori di questa specialità, ma scarroccia, ancora una volta, nel soprannaturale stregonesco perché la noce è il frutto, appunto, delle streghe. L’esistenza del noce meta del sabba a Benevento è, del resto, già attestata alla fine del I secolo d.C.; nel 665 il vescovo Barbato lo fa abbattere (e il demone che scappa fuori dalle radici viene impietosamente affogato con l’acqua santa), ma il pio ecclesiastico avrà pur sradicato un albero, non il suo culto. Ancora nel 1427, per dire, San Bernardino allude apertamente alle streghe che volano a Benevento e la tradizione ha cavalcato i secoli restando integra fino a tutta l’età moderna (oggi rimane ancorata a una prelibatezza, il liquore “Strega”, ottenuto con distillazione di zafferano e di un’altra settantina di erbe, prodotto dal 1860 dalla distilleria Alberti, proprio di Benevento… l’avete bevuto ghiacciato? È un succedaneo di orgasmo). Ora, il nocino non è un comune liquore, perché, in origine, è una bevanda che deve essere assunta nei momenti difficili della vita dato che sarebbe un liquore medicinale, anche se voi ve lo scolate a bicchieri dopo ogni cena. Ma voi non siete soggetti antropologici: siete soggetti alcolici, che è un’altra cosa.

Ciò detto, buona bevuta di nocino; buon San Giovanni e buon inizio estate.

E non riponete i maglioni rimasti fuori. Vi servono fra meno di quel che credete.

 

Duccio Balestracci