Salimbene Salimbeni: la prima crociata, il patriarcato di Antiochia, la rinuncia e gli affreschi a palazzo pubblico

Il 3 giugno del 1098, ricorda Girolamo Gigli nel duo “Diario Senese, che Salimbene Salimbeni “de’ Grandi di Siena”, fu il “primo a salire sulle mura di Antiochia. Gli antefatti: Salimbene rispondendo all’appello lanciato da papa Urbano II nel Concilio di Clermont durante in quale aveva indetto, in una celebre omelia, la storica prima crociata (1095), rispose subito all’appello pontificio. “La nostra Repubblica – continua Gigli – contribuì fino al numero di 2000” volontari per la spedizione in Terrasanta.
Il contingente dei senesi era formato da circa 1.000 (o forse 2.000) volontari, comandati da Bonifacio e Domenico Gricci (o Gucci), che vennero inquadrati nelle unità militari comandate da Raimondo (figlio di Roberto il Guiscardo) e da Boemondo di Altavilla. Si dice perfino che, secondo una nota tradizione, i senesi, durante una delle battaglie combattute in Terrasanta, avessero ritrovato anche la lancia con la quale il soldato romano Longino aveva trafitto il costato di Gesù Cristo sulla Croce.
Salimbene e i senesi, comunque, dopo aver partecipato attivamente agli assalti contro Gerusalemme (1096), fecero parte, nel 1098, dell’esercito inviato alla conquista di Antiochia, ultimo baluardo musulmano che, fino a quel momento aveva ad resistito all’assedio e ad ogni tipo di attacco. Ma Salimbene Salimbeni, con il suo contingente sferrò un attacco improvviso e incontenibile riuscendo a superare le mura facendo cadere la città fortificata. Per i suoi atti di eroismo venne, così, nominato Patriarca Latino di Antiochia, ma, pur accettando nominalmente la carica, lasciò ogni onore pubblico, anzi si unì, in incognito, pare, ai prigionieri addetti alla ricostruzione di Gerusalemme.
Continua Gigli: “giudicandosi egli, siccome uomo rifinito di tutte le cristiane virtù, indegno di amministrare una tal chiesa (…) quivi trasferissi con povero abito mentito, ed incolte sembianze, per servire tra i più vili muratori al ristoro dej sacri tempj di quella santa città, finchè permettendo Iddio che fosse riconosciuto, fu da quei Principi solennemente onorato, e restituito alla sua sedia”. Il Vescovo di Siena, Gualfredo, compose in versi latini un poema che ne declama le gesta, riportato dallo stesso Gigli e che si trovava (almeno a suo tempo) “tra gli antichi monumenti della Sagrestia della nostra Metropolitana”. Salimbene Salimbeni muore dopo il 1100 e in Palazzo Pubblico due tardi affreschi a mano di Ventura Salimbeni (1568-1613) riportano alla memoria dei senesi le gesta eriche del loro antenato.
Maura Martellucci
Roberto Cresti