Piazza San Giusto: la chiesa scomparsa

Legate alla piazza di San Giusto ci sono alcune leggende sulla mezza colonna che regge un portatorce in ferro battuto.

Oggigiorno piazzetta di San Giusto è solo uno slargo a lato di via S. Martino, che con una specie di terrazza si affaccia sul sottostante vicolo dell’Oro, con il quale è collegata mediante due serie di scale. In passato, invece, la piazzetta era proprio quella sotto la terrazza, parzialmente percepibile nello slargo che si forma di fronte alla cappella, in falso stile medievale, che ricorda dove si ubicava la chiesa di San Giusto, da cui ovviamente deriva il nome.

Dell’edificio sappiamo addirittura quando fu costruito, eccezione nel panorama senese delle chiese anteriori al Duecento: nel giorno d’Ognissanti del 1181 il vescovo di Siena Gunteramo autorizzò l’erezione della cappella di San Giusto da parte dei canonici di San Martino, riservando all’episcopato il controllo della stessa e regolando gli obblighi del suo cappellano nei confronti della Cattedrale; la chiesa, tra l’altro, divenne subito parrocchia della città.

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Ai primi del Quattrocento i canonici di San Martino la concessero all’Arte dei Battilana, di cui divenne l’oratorio; questa comprendeva i battilana veri e propri, gli operai che ungevano e battevano la lana prima della filatura, ma anche gli scardassieri, coloro che la raffinavano e la pulivano con apposite macchine uncinate, o più semplici pettini, detti per l’appunto scardassi.

Con la soppressione delle Arti, voluta dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo con editto del 30 agosto 1777, la chiesa di San Giusto finì nel dimenticatoio e fu lasciata all’abbandono. Per qualche tempo fu officiata dai chierici secolari della Diocesi, che vi festeggiavano la ricorrenza di San Luigi Gonzaga, ma ai primi del Novecento aveva completamente perso le sue originarie funzioni, tanto che durante la I Guerra Mondiale fu adibita a deposito per granaglie.

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Fu così che nel 1936, durante il risanamento di Salicotto, si decise di abbatterla per ragioni di pubblico transito. Due anni dopo, mentre si costruiva l’edificio adiacente, il proprietario dello stesso fece erigere la cappella ancor oggi esistente ad imperitura memoria di dove si localizzava l’antica chiesa.

La nuova piazzetta di San Giusto fu realizzata nella forma odierna intorno alla seconda metà dell’Ottocento, quando su un lato della terrazza venne sistemata anche la singolare mezza colonna che regge un portatorce in ferro battuto, sotterrata per circa un terzo della sua lunghezza e priva sia della base che del capitello, fino ad allora posta nella piazza sottostante. Su questa colonna sono circolate tante leggende: gli eruditi del Sei-Settecento credevano che fosse d’epoca romana e che in cima avesse un idolo adorato dai pagani di allora; quando i senesi si convertirono al cristianesimo, la colonna sarebbe stata capovolta in modo da sotterrare l’idolo in segno di disprezzo. Evidentemente, però, gli antichi studiosi non erano a conoscenza di una deliberazione di Concistoro risalente al 29 gennaio 1428, la quale testimonia che la colonna in granito fu sistemata su un lato della fonte di San Giusto, che si trovava davanti alla chiesa, per sostenere una gabbia di ferro dove si ponevano degli stracci spalmati di sevo e sostanze resinose, che una volta accesi illuminavano la pubblica via e la piazzetta, dando luce durante eventuali tumulti notturni o segnalando la pubblica esultanza in occasione di feste.

D’altra parte quando nell’Ottocento la colonna fu tolta dalla sua originaria collocazione, l’idolo che doveva essere sottoterra non fu rintracciato. Il suo uso reale, pertanto, fu assai diverso di quello che un’altra leggenda aveva fatto credere, ossia che servisse per contenere le teste mozzate dei condannati a morte, ivi infilzate a terribile monito per chiunque. Il fatto che la colonna sia stata posizionata nella piazzetta soltanto nel 1428 e che avesse una funzione assai più terrena di quanto narrato dagli eruditi, non nega necessariamente la sua presunta origine romana, anzi è probabile che sia materiale di spoglio antico, magari giacente in qualche magazzino del Comune, proprio come la colonna posta a fianco del Palazzo Pubblico, dalla parte di via Duprè, che sorreggeva la Lupa in rame dorato scolpita da Giovanni e Lorenzo di Turino. Questa, infatti, era proveniente dalle rovine dell’antica città di Cosa, presso Orbetello, devastata dai Visigoti nel V secolo, ricostruita con il nome di Ansedonia nel IX secolo e poi di nuovo distrutta.

Maura Martellucci

Roberto Cresti